Aggiornamenti dalla Carovana a Kobane

Secondo giorno di Carovana Internazionale per l’apertura di un canale umanitario verso Kobane. Incontri con la municipalità di Suruc, il co-presidente del cantone di Kobane, la rappresentante delle donne di Kobane, il comitato di gestione della crisi e la deputata HDP Leyla Güven.

La situazione nel paese cambia sotto i nostri occhi, gli attacchi che abbiamo riportato ieri contro la popolazione curda continuano e ci è giunta da poco la notizia dell’oscuramento del portale del giornale curdo Cumhuriyet. Il sindaco di Diyarbakir, città considerata la capitale del Kurdistan turco, è stato preso in custodia dalle forze di polizia, mentre a Cizre è da poco stato ritirato il coprifuoco ma la situazione resta tesa. Con grande attenzione verso il complesso contesto che muta intorno a noi, affrontiamo questo secondo giorno di Carovana Internazionale.

LA CONVIVENZA

Veniamo accolti nei locali comunali nei pressi della piazza centrale della città, dove incontriamo per primi il copresidente di Suruç e un responsabile del comitato di gestione della crisi di Kobane. La situazione oltre la frontiera è ancora molto critica vista la mancanza di beni di prima necessità e medicinali. L’offensiva fascista del DAESH (ISIS) ha colpito duramente la città avendo come obiettivo politico la rivoluzione curda. “Il Rojava” , ci racconta uno dei responsabili della ricostruzione di Kobane, “si basa sulla convivenza pacifica fra etnie e gruppi religiosi diversi, costruita secondo criteri di uguaglianza e partecipazione trasversali in tutte le sfere della società. È la nostra alternativa al capitalismo e al modello dello Stato Nazione, una proposta politica che guarda a tutto il Medioriente.”

CIZRE È KOBANE, DIYARBAKIR È KOBANE

Abbiamo incontrato Enver Muslim, copresidente del cantone di Kobane, la parlamentare dell’HDP Leyla Güven e una rappresentante del movimento delle donne di Kobane. Il dibattito è stato aperto da Muslim che ha sottolineato come “la priorità di Kobane in questo momento sono le infrastrutture e l’istruzione. In queste settimane stiamo aprendo circa 370 scuole non solo nell’area urbana ma anche nei villaggi del cantone”. A fianco dell’istruzione, un’altra priorità è la riapertura degli ospedali che nei quattro mesi di assedio sono stati uno dei bersagli principali di Daesh. Le migliaia di profughi siriani non sono una semplice conseguenza dell’attacco da parte di Daesh. Sono il risultato delle politiche occidentali in Medioriente di cui il corpo senza vita di Aylan è diventato l’emblema.

La ricostruzione di Kobane non passa soltanto per le infrastrutture, ma è soprattutto un processo di ricostruzione dei legami sociali in un luogo duramente colpito da un anno di conflitto. “Le donne sono state e saranno protagoniste della rinascita della città. In Rojava abbiamo rovesciato migliaia di anni di società patriarcale. Il successo della nostra rivoluzione passa per la lotta che donne e uomini combattono uniti e alla pari” ci racconta la rappresentante delle donne di Kobane.

Mentre la ricostruzione di Kobane avanza, la Turchia prosegue l’offensiva contro le forze di opposizione. La città di Cizre ha dichiarato da dodici giorni l’autogoverno, subito appoggiato dall’HDP. “La dittatura di Erdogan ha risposto con un attacco militare alla società civile, mettendo sotto assedio la città per nove giorni” spiega Leyla Güven, parlamentare dell’HDP di Urfa. “Le forze militari hanno usato ogni brutalità contro di noi, ma la popolazione ha risposto alla paura con la resistenza. Perché o viviamo una vita degna e libera o moriamo.”

Carovana internazionale per l’apertura di un corridoio umanitario per Kobane.

#CarovanaKobane

 

15 Settembre, report terzo giorno di carovana internazionale per l’apertura di un corridoio umanitario Verso Kobane.

Continuano ad arrivare partecipanti alla Carovana mentre prosegue l’offensiva turca nei confronti del Kurdistan. La sera del 14 settembre il pullmino della Carovana diretto ad Urfa è stato fermato e perquisito dalla polizia. All’interno del pullman erano presenti anche i due parlamentari italiani che hanno tentato, senza esito, di opporsi alla perquisizione. Abbiamo notato che negli ultimi giorni il livello di attenzione attorno alla nostra presenza è aumentato notevolmente. Siamo costantemente seguiti e monitorati dai mezzi blindati della polizia e siamo costretti a pianificare gli spostamenti con cura.

NEVER ALONE

Un intenso incontro con le donne ci riporta nel campo dedicato ad Arin Mirxan che avevamo visitato il primo giorno di Carovana (link), ad accoglierci ritroviamo anche la deputata HPD Leila… che si stringe con tutte noi intorno allo striscione che abbiamo portato “we can be free together, but we can’t be free alone – international feminist solidarity”. La rappresentante di KJA (Free Women Congress) ribadisce che il messaggio femminista per la libertà e l’emancipazione di genere deve viaggiare oltre i confini, gli stessi che il confederalismo democratico vuole abbattere.

L’AGENDA POLITICA

Nella sede della BDP, declinazione regionale del HDP – dove si ritrovano abitualmente gli attivisti politici di Suruc – rivediamo tanti volti che ci hanno accompagnato in questi giorni. Le pareti sono piene di immagini di martiri curdi ed internazionali, attorno a noi le riunioni si susseguono mentre lo spazio è attraversato da un flusso continuo di attivisti, che si informano sull’evolversi della situazione a Cizre e Diyarbakir. Partecipiamo all’incontro con rappresentanti del BDP e del KJA. L’Europa, vista da qui non è solo un approdo per i profughi in fuga ma è parte colpevole per l’assenza di politiche di accoglienza che facciano fronte al flusso migratorio. “Qui abbiamo accolto 250.000 profughi” dice il rappresentante BDP, “l’Europa non può pensare di aprire le sue porte solo a 10.000 persone”. Il Tema dei profughi e della loro accoglienza ritorna negli interventi che seguono, “ma è necessario fissare un’agenda politica condivisa più ampia – incalza Ajse Gokkan di KJA Diplomacy – che oltre a denunciare il business dell’accoglienza, includa la partecipazione delle donne, il riconoscimento politico dell’esperienza del Rojava in una Siria Democratica”. Infine, oltre alll’apertura di corridoi umanitari a Kobane e la sua ricostruzione, ci ricordano gli altri accessi alla regione, come Nisebin, Qamislo, Alcakale, Gre Spi e la questione del popolo Ezida che sta subendo il 73° genocidio della sua storia.

ACCESSO NEGATO AL GATE DI MURSITPINAR – KOBANE

Nel pomeriggio, assieme ad una delegazione locale, ci dirigiamo verso la frontiera, sui furgoni medicinali e apparecchiature sanitarie destinate agli ospedali di Kobane, quaderni e pastelli colorati per le scuole della città. Per varie settimane la municipalità di Suruc ha richiesto al governo centrale di aprire la frontiera per lasciar passare la carovana. I quattro pullman si dirigono verso il confine, sotto lo stretto controllo delle forze di polizia locale. A circa cinquecento metri dal gate incontriamo un posto di blocco: blindati e barricate mobili ci impediscono di proseguire. Decidiamo di tentare una deviazione, ma tutti gli accessi al confine sono sorvegliati. “La Turchia ci ha negato il permesso di passare” ci dicono i compagni curdi. “Il governo minaccia di chiudere la frontiera e di impedire il passaggio ad ogni tipo di merce verso il Rojava.” Il posto di frontiera di Suruc è aperto solo tre giorni a settimana, una nostra forzatura potrebbe comportare un blocco a tempo indeterminato dei rifornimenti verso Kobane. Il ricatto del governo è palese e gioca sulla vita di decine di migliaia di persone lungo il confine. Ripieghiamo nel vicino villaggio di Mesher, un gruppo di case sotto il sole battente, luogo strategico della resistenza, dal punto di vista sia logistico che politico. Le staffette partite dall’Italia hanno fatto spesso base qui.

Veniamo accolti da una delegazione del villaggio e dai membri dell’associazione “Rojava”, per una conferenza stampa di denuncia di ciò che sta avvenendo. “Gli aiuti umanitari verranno consegnati all’associazione Rojava, che si occuperà di farli arrivare oltre il confine”. Il copresidente del BPD di Suruc ha ribadito l’importanza della nostra presenza. “E’ oltre un mese che chiediamo l’autorizzazione per il vostro ingresso, anche solo in forma di delegazione, ma solo oggi le autorità turche hanno definitivamente intimato di non avvicinarci al confine”. Una presa di posizione chiara, che ha lo scopo di isolare Kobane tenendo lontana la solidarietà internazionale. E’ la prima volta che un’iniziativa di questo genere, lanciata pubblicamente dai movimenti, con attivisti da tutta Europa, mette al centro del dibattito la questione del corridoio umanitario, che sembra poter mettere in difficoltà il governo di Ankara rispetto ai suoi obblighi internazionali.

La Carovana Internazionale per l’apertura di un canale umanitario verso Kobane.

 

16 Settembre – quarto giorno di Carovana Internazionale per l’apertura di un corridoio umanitario verso Kobane.

La Carovana Internazionale, vista la criticità della situazione in altre zone del Paese e su suggerimento della deputata HDP Leila Guven, decide di dividersi in due delegazioni e di andare in veste di osservatori internazionali sia a Cizre che a Diyarbakir, entrambe teatro di violenti scontri.

La delegazione diretta ad Cizre

Partiamo alle luci dell’alba per arrivare il prima possibile nella città di Cizre, nell’estremo sud-est della Turchia a poche centinaia di metri dal confine siriano, iracheno e iraniano.

Nel tragitto un primo controllo di polizia ci ferma per pochi minuti per un rapido controllo invece alle porte della città un imponente schieramento di forze dell’ordine con tank, mitra e cecchini ci fa pensare di non poter raggiungere i compagni che ci aspettano nella sede dell’HDP. Qui il partito ha registrato il 98% delle preferenze nelle scorse elezioni e la città ha dichiarato l’autonomia sulla base dei principi del confederalismo democratico. E’ questa la ragione principale della violentissima repressione durata nove giorni di coprifuoco appena cessati. Dopo un controllo dei passaporti ci lasciano passare.

All’arrivo ci accoglie un bellissimo corridoio di compagni fino al cortile interno della sede. Un parlamentare dell’ HDP ci riporta la situazione a cui è stata costretta la popolazione senza acqua ed elettricità, privazioni unite al dolore dei parenti dei martiri. Una madre – continua lui – è stata costretta a tenere nel freezer di casa il cadavere della figlia, per evitare che andasse in decomposizione.

Durante gli 8 giorni di assedio nessuno è potuto entrare o uscire dalla città; alle persone ferite sono state negate le cure d’emergenza e i paramedici sono diventati bersagli mobili per i cecchini turchi. Le linee telefoniche ed internet sono state interrotte completamente. La co-sindaca della città era stata incriminata per aver denunciato la politica governativa tesa a provocare una guerra civile e per questo le era stato revocato l’incarico istituzionale, mentre alla delegazione di parlamentari HDP arrivata alle porte della città per difendere la popolazione, non è stato permesso di entrare. Una vera e propria sospensione delle garanzie democratiche prolungata per giorni e giorni, che non ha avuto alcun riscontro sui media internazionali.

All’uscita dalla sede veniamo travolti da un corteo che sfila tra la macerie per commemorare le vittime. In testa un c’è un cordone di donne velate di bianco con le foto dei martiri. Mentre camminiamo in tanti ci indicano le case dove abitavano le vittime e alzando gli occhi incrociamo gli sguardi delle donne ancora in lacrime alle finestre. “ERDOGAN ASSASSINO” e poi ancora ”BIJI KURDISTAN” gridano uomini, donne e bambini fino alla sede del municipio.

Lì troviamo tutta la cittadinanza raccolta ed uno ad uno ogni rappresentante politico interviene esprimendo il dolore e la rabbia per quanto accaduto. Esprimiamo anche noi la nostra solidarietà verso il dolore dei parenti e il nostro appoggio alla resistenza di Cizre. Nel fulcro della commemorazione l’inno funebre risuona in una sala gremita di uomini che mostrano le due dita in segno di vittoria, all’esterno rimangono le donne.

Quando usciamo sentiamo ancora lo stordimento per quanto sta succedendo intorno a noi ma non possiamo fermarci. Il tempo è poco e dobbiamo ripartire prima che faccia buio. Senza neanche una sosta ci portano nel quartiere più colpito dalle violenze: si trova proprio alle spalle della sede dell’HDP. In questo dedalo di strade sconnesse i carri armati turchi sono entrati fin dentro i cortili, distruggendo muri, cabine elettriche, serbatoi dell’acqua; molte granate sono finite nei giardini e per fermarli la popolazione ha aperto delle voragini nelle strade chiuse da teli scuri per impedire la visuale ai cecchini. Le case sono crivellate da colpi di artiglieria pesante e in tanti ci invitano ad entrare per mostrarci i danni. Siamo colpiti dalla forza che tutt’ora mostrano queste persone mentre raccolgono oggetti tra le macerie. Ai margini del quartiere ancora stazionano i blindati turchi che ci minacciano con i mitragliatori dalle torrette mobili. All’improvviso vediamo avvicinarsi un corteo di donne con le foto dei martiri, che ci scorre davanti velocemente.

Ci fermiamo per una conferenza stampa di denuncia rivolta a tutti i media nazionali e internazionali: la sensazione è quella di essere testimoni di una vera e propria strategia di guerra con azioni mirate ad intimorire la popolazione locale che sostiene in blocco l’HDP e a diffondere paura e terrore nel resto del paese, minacciando una pericolosa destabilizzazione.

Nella resistenza di questa città ritroviamo tutta la forza della lotta curda, Cizre resiste come ha resistito Kobane animate entrambe da un’utopia possibile.

Questa voce è stata pubblicata in Comunicati e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.