Testosterone partout, justice nulle part

Al termine della MayDay di Milano, il primo maggio scorso, è avvenuto un fatto gravissimo: l’abuso di un uomo su una donna. Come uomini e donne che partecipano al processo di costruzione della MayDay, ci sentiamo direttamente coinvolt* in quello che è successo e siamo rimasti colpiti nel cuore dal fatto che sia accaduto in uno dei nostri spazi. Anzi, in quello che per noi è uno degli ultimi spazi residui di libertà ed
espressività della città di Milano.

A mente un po’ più fredda rispetto alle prime ore dopo il fatto, ci sentiamo di scrivere ancora qualche riflessione, che dirigiamo a chi ha partecipato alla MayDay, a chi l’ha seguita da lontano o da vicino, a
chi ci ha criticato e attaccato e a chi ci ha aiutato a capire cosa fosse successo. Soprattutto le dirigiamo alla ragazza che ha subito sulla sua pelle la violenza, a cui va il nostro abbraccio sincero.

Vogliamo che questo episodio serva per riflettere sulla violenza, su
quella di tutti. Sulla violenza di genere, prima di tutto, ma anche su
quella di chi si vuol fare giustizia da sè, come è successo venerdì
scorso in piazza Castello. Ce lo diciamo da anni: le violenze avvengono
in casa, avvengono sul lavoro, avvengono ovunque. Perché i nostri luoghi
dovrebbero esserne immuni? Lo dicevamo, certo, ma ora la crescita della
MayDay ci ha messo di fronte a una giornata che rappresenta uno spaccato
troppo ampio della società per poter essere immune da alcunché. Anche
tra le persone che partecipano alla MayDay c’è chi è stato contagiato
dal lessico del maschilismo imperante, dal declino culturale e politico
del nostro paese.

Non l’abbiamo visto solo nella violenza sessuale che è accaduta, ma
anche nella reazione violenta dei presenti (per tacer della polizia che
ha manganellato colpendo a caso, nel mucchio, e senza un motivo). Lo
abbiamo letto negli articoli di giornale, nelle dichiarazioni di De
Corato e Penati che hanno usato l’accaduto in modo strumentale, per far
campagna elettorale. L’abbiamo visto nei commenti nauseabondi di chi ha
accusato la vittima di esserla andata a cercare. Infine, l’abbiamo
letto nel nostro primo comunicato, scritto con fretta e stanchezza, in
cui abbiamo infilato un paio di espressioni e un paio di mancanze che
hanno causato giuste critiche.

La questione di genere è da sempre interna ai nostri percorsi politici.
La stessa MayDay, grazie alla sua componente pink e alla partecipazione
delle donne e di gruppi e collettivi che lavorano sul nesso tra genere e
precarietà, ha sempre assunto il genere come tematica centrale. Anche
per questo abbiamo riflettuto a lungo su come affrontare questo problema
e abbiamo deciso di avviare un percorso di costruzione di una tavola
rotonda di confronto, da svolgersi nelle prossime settimane. Vogliamo
riprendere le questioni di genere e renderle in modo ancora più forte
una componente importante della Long MayDay, facendo in modo che ci
accompagnino fino al prossimo primo maggio.

Chiediamo a tutte le realtà e le persone che hanno partecipato ai
percorsi legati alla MayDay negli ultimi nove anni di aiutarci ad aprire
un confronto per assumere insieme la responsabilità collettiva di questo
percorso. Vogliamo che anche in futuro la MayDay continui a essere uno
spazio aperto, di partecipazione, allergico alle sirene securitarie e
alle spinte a rinchiudersi nel territorio sicuro, ma claustrofobico,
delle proprie identità.

Milano, 6 maggio 2009
info@euromayday.org

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Corsari Milano
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Pacio – spazio libero [Piacenza]
CSA Magazzino47 [Brescia]
Sexyshock [Bologna]

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