Mi fa male la testa, i pensieri procedono a rilento e mi sento come in letargo. Mi ripeto una frase, tra le altre, come fosse una lenta litania. La violenza è un linguaggio che non ascoltiamo… e vesto i miei pensieri a lutto. C’era una citazione sulla mia vecchia scrivania. Me la sono appuntata quando ero al liceo. Ora non so che fine abbia fatto quella scrivania ma ricordo che l’incisione recitava più o meno così: la guerra è pace, la schiavitù è libertà. Quella frase aveva qualcosa di mistico, di fantastico. Mi affascinava. Esercitava su di me un’eccitazione terrificante. Decisi che avrei studiato per diventare una persona migliore. Perché mi hanno fatto credere che più conosci più possiedi. Ho coordinato la mia volontà di potenza in base alla mia volontà di conoscenza. Solo oggi, però, sento di capire veramente quelle parole. E capisco che spesso conoscere crea sofferenza e ti senti come paralizzato di fronte alla brutalità dell’ignoranza. Chiunque è in grado di vedere la macabra ironia di Orwell ma sembra che nessuno inorridisca di fronte alla paradossale mancanza di senso della dichiarazione dell’emerito assessore alle Politiche Giovanili Martina Sassoli. Credevo nell’intelligenza ma dimenticavo la menzogna, la finzione. Dimenticavo che la gente si circonda di un mondo premasticato e lascia ad altri il compito di rigurgitare Verità che tutti berranno. Verità monodose come i cibi precotti da mangiare davanti alla tv. Ti dicono siediti e annulla il cervello, non ti serve, c’è chi ti protegge, chi pensa per te. Ho bisogno di onestà intellettuale o impazzisco. È un bi-sogno puramente egoistico il mio. Non parliamo di etica o morale. Parliamo di intelletto. Al di sopra di tutte le parti. Parliamo di logica, lineare, sinuosa eccitante logica. Una lama. Una lama d’acciaio. L’unica violenza da cui non si può scappare. L’unica violenza non-violenta, l’unico ossimoro che voglio accettare. Loro. I primi violenti, abbaiano. Almeno si avesse l’onestà intellettuale di dire che oggi giorno non è più permesso avere idee proprie, uscire dal seminato. Chiunque osa farlo verrà punito, a loro ( i non violenti) non fanno paura neppure codici gialli. Siete liberi, dicono, liberi di scegliere le nostre scelte. Non siamo violenti, dicono, siete vuoi i violenti perché avete osato disubbidire. La guerra è pace, dicono, e la pace è che nessuno disturbi, e vuoi siete dei disubbidienti. Verrete puniti. Chi biasimerebbe mai un bravo padre che quando il devoto figlio ruba la marmellata lo riempie di mazzate!? Solo che la cosa che si omette troppo spesso è che quella marmellata ci è dovuta. Abbiamo bisogno di spazi dove aggregarci, dove crescere, dove imparare ed insegnare, dove formarci come uomini e come cittadini. Ci vogliono tenere a dieta per condirci con le loro Verità. Sono inorridita e, a dire il vero, affaticata. Affaticata dentro. Sento un rumore sordo vicino al cuore. Ho perso la fiducia nel futuro. La fiducia nell’uomo. Nell’umanità. Così credevo. Poi ho ascoltato per caso una quindicina di ragazzi parlare “nascosti” in un cinema in disuso. Avevano forza, coraggio, idee. Avevano amore ma soprattutto avevano l’onestà intellettuale di porsi problemi e di darsi risposte. Avevano il coraggio di farlo insieme e la forza di non abbattersi anche se sapevano che oggi la parola futuro deve essere sostituita dall’aggettivo Precario. Li ho sentiti dire più volte “dobbiamo essere utili”. Li ho senti parlare di rispetto, di cultura e cortesia. Io che li non c’entravo nulla ho sentito come se non tutto fosse perduto. In uno stato dove la politica è ridicola, dove l’informazione è disinformaizone ho avuto un barlume di speranza. Mi sono chiesta perché non c’è scritto che “quelli” che hanno occupato L’Apollo come prima cosa l’hanno pulito. Come si fa con le cose che si amano, come si fa con le cose in cui si crede. Credevano nell’Apollo, nella sua riapertura. Li ho sentiti parlare di come avrebbero fatto per rimettere il telo del cinema a nuovo. Telo che vandali avevano distrutto tempo prima e che loro avrebbero rimesso a posto ( ìa loro spese). Ho sorriso, un sorriso timido vago uno di quei sorrisi che ti sorprende all’improvviso in seguito a un pensiero buffo: mi sono chiesta “chi glielo fa fare?”. Ho visto un ragazzo cercare un modo per non deformare il telone bianco. Mi spiegava orgoglioso che lui sapeva come muoversi tra gli acidi sbiancanti: quello era il suo lavoro. Si diceva “poi qui faremo vedere dei documentari…cose che possano interessare tutti i cittadini, cose che smuovono gli animi…Cose che risveglino. Perché qui siamo un po’ tutti addormentati.” Ho pensato che erano quel tipo di persone che alimentavano la mia speranza in un futuro. Poi, oggi, ho visto la foto di quel ragazzo. Si teneva la testa tra le mani, ho visto del sangue sul suo voto. Del sangue sulla strada. Probabilmente chi non ascolta il linguaggio della violenza… sicuramente lo parla! Solidale.
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