Anche a Milano era questa la rivendicazione scandita con entusiasmo: decine di assemblee, dalle scuole alle università, hanno deciso diesplicitarla scegliendo gli uffici dell’Unione Europea in Corso Magenta come luogo che la manifestazione studentesca (una delle tante che in quella giornata si sono snodate nella metropoli in cui viviamo) avrebbe dovuto raggiungere, portando la nostra sfiducia ad un’istituzione che rappresenta tutto tranne che le nostre esigenze ed aspirazioni.
Un obiettivo dichiarato in maniera pubblica sin da subito, figlio di processi decisionali collettivi, da sempre caratteristica dei movimenti studenteschi.
Il 14 Novembre, gli studenti erano in piazza, e al grido di “noi la crisi non la paghiamo” si sono diretti verso gli uffici della Commissione Europea.All’imbocco di Corso Magenta si sono trovati di fronte un folto cordone di forze dell’ordine, posto lì per impedire al corteo di raggiungere l’obiettivo preposto. Con in testa gli ormai celeberrimi scudi-libro (il book block, sempre più simbolo rappresentativo delle mobilitazioni studentesche) gli studenti hanno deciso di non farsi intimidire, di non lasciare che ancora una volta la prevaricazione altrui impedisse loro di raggiungere i luoghi simbolo della crisi finanziaria. Forte delle proprie ragioni, di chi sa che è rimasto poco da perdere e molto da guadagnare, il corteo ha cercato con insistenza di farsi largo fra le forze dell’ordine, una, due volte, venendo duramente respinto a manganellate e lacrimogeni dopo aver tentato con ferrea determinazione di passare.
Ancora una volta, la risposta della “democrazia” alle rivendicazioni degli studenti è stata l’istituzione delle “zone rosse”. Luoghi in cui è impossibile manifestare il proprio dissenso, luoghi inaccessibili al 99% perché il diritto a manifestare deve essere confinato in zone poco fastidiose, anche dal punto di vista mediatico, per l’1%: il manovratore non deve essere disturbato. In molte città di Italia la polizia chiude intere zone dentro le quali non deve volare una mosca, a dimostrare, simbolicamente ma non solo, che il sistema di potere politico-finanziario che sta governando questa crisi del debito non intende essere messo in discussione. Non tollera nessun ostacolo verso il raggiungimento dei propri obiettivi, ovvero la difesa dei propri interessi e dei profitti abnormi che ne conseguono. Ecco, quindi, semmai ce ne fosse bisogno, che le zone rosse ben evidenziano come il processo di svuotamento della democrazia rappresentativa sia arrivato a compimento.
A dimostrazione che quella giornata doveva assumere una coloritura conflittuale figlia delle esigenze del momento, per nulla spaventati o divisi (come molti vorrebbero far credere, dimostrando una tristissima cattiva fede) gli studenti hanno proseguito per raggiungere la stazione di Porta Genova con l’intento di bloccarla, così da mettere a frutto uno degli obiettivi che uno sciopero riuscito dovrebbe avere: bloccare la città. Anche lì, di fronte al tentativo di passare, altre cariche hanno atteso gli studenti, che hanno resistito e mantenuto la piazza antistante alla stazione, concludendo con degli interventi dal camion che hanno rilanciato future mobilitazioni e rivendicato l’importanza della libertà di movimento, soprattutto in una fase cruciale come questa.
Ieri mattina la vendetta: 7 perquisizioni eseguite durante le prime ore del giorno. Studenti delle scuole superiori e dell’università (aderenti al coordinamento studentesco Studenti In Movimento, tra i promotori del corteo) sono stati svegliati da agenti di polizia e della digos che, senza sottigliezze, sono entrati in casa alla ricerca di oggetti che li potessero indicare come “colpevoli” degli scontri avvenuti il 14 novembre.
Le modalità con cui il tutto è avvenuto parlano chiaro: ancora una volta si vuole intimidire un intero movimento andando a colpire alcuni tra coloro che si oppongono con forza ai diktat dei poteri forti. L’esito di queste perquisizioni (caratterizzate da metodi che definire intimidatori è dir poco, vedi studenti-e rispettive famiglie-svegliati da agenti armati o raggiunti nell’istituto scolastico da loro frequentato) hanno dato come esito, oltre alla traduzione in questura degli interessati con successive denunce, il ritrovamento di “pericolosissimi” indumenti comuni tra decine di migliaia di studenti solo a Milano e provincia e il sequestro di un casco (se poi il giovane coinvolto avesse un motorino è “un particolare da poco”) e di un paio di tronchesi prelevate da una cassetta degli attrezzi (che attinenza possano avere con una manifestazione rimane un mistero sconosciuto ai più).
Il tutto corredato da immagini diffuse che una volta di più dimostrano quello che già conoscevamo come certo e assodato: il 14 novembre a voler andare sotto gli uffici dell’Unione Europea non era un “presunto manipolo di facinorosi”, ma un intero corteo formato da migliaia di giovani stufi di sentirsi prendere sempre di più a pesci in faccia ogni giorno che passa, stufi di vedere il proprio futuro espropriato da chi ha anche la faccia tosta di chiamarli “choosy”, “bamboccioni” o “viziati”.
Non accettiamo nessuna divisione fra “buoni” e “cattivi”. O meglio, i “buoni” ci sono: ad esempio le moltissime persone che da anni lottano per tirare avanti facendo fronte ad una crisi senza precedenti, mentre i “cattivi” siedono nelle centrali del potere e da lì sovradeterminano le nostre esistenze e provano a sgombrare il campo da tutto quello che può intralciare i loro piani.
Se qualcuno pensa che l’operazione repressiva di oggi possa fermarci non ha capito nulla. Per fortuna non siamo in 7, ma molti di più, determinati e vogliosi di cambiare un presente che non ci rappresenta. Non ci dispiacciono le parole, ma amiamo ancora di più i fatti: sapremo dimostrare ancora una volta la veridicità di queste parole e delle ragioni che vi stanno dietro, le parole e le ragioni del 99%.
Perché chi ha ragione non ha paura e lo sa dimostrare.
Studenti In Movimento [Labout – C.A.S.C. – Rete Studenti Milano ]