Presidio al carcere di Monza – 9 giugno

Un grido silenzioso si alza dalle galere di tutta Italia: lo stato fa di
tutto per nasconderlo, mentendo, insabbiando e minacciando. Basta però
prestare attenzione alle notizie che trapelano da quelle mura per
accorgersi che in carcere si lotta quotidianamente per sopravvivere.
Accanto ai propagandistici articoli di giornale che parlano di “prigioni
dorate” e di formidabili percorsi lavorativi, e accanto ai soliti
piagnistei orchestrati dai sindacati delle guardie penitenziarie,  non
passa settimana senza che l’elenco dei pestaggi, dei suicidi e delle
“morti non accertate” cresca. E’ un vero e proprio bollettino di guerra:
solo nel 2017 le  persone che hanno perso la via sono state 123, di cui
52 per “suicidio” ed i tentativi sono stati addirittura 567.

Da gennaio 2018 ad oggi inoltre si sono verificate altre 46 morti.

Il carcere di Sanquirico a Monza è tristemente conosciuto per essere un
punitivo di fatto, in cui viene trasferito chi ha dato in qualche modo
fastidio all’amministrazione penitenziaria, come chi ha ammesso di aver
visto un pestaggio o ha partecipato alle più semplici forme di lotta.
Non possono esistere infatti “carceri modello” come quella di Bollate se
non esistono anche carceri come quello di Monza, a monito di tutti
quelli che provano a dar fastidio e non accettano passivamente la loro
sorte.

Nel 2017 tra queste mura ci sono stati ben 5 decessi: due “suicidi” e
tre di cui ancora non sono ancora chiare le circostanze. Nell’ultimo
caso la direttrice del carcere G. Pitaniello (nonché moglie del
direttore del carcere di Bollate) ha messo le mani avanti assicurando
che la fatalità sia avvenuta nonostante ci siano state “tempestive
manovre di riabilitazione e massaggio cardiaco”.

Onestamente facciamo molta fatica a crederle.

Difficile credere al buon cuore di chi ogni giorno, a Monza come
altrove, avalla pestaggi, umiliazioni, torture psicologiche e fisiche.
Le questure, gli uffici del DAP e le carceri, sono luoghi di barbarie
ammantati di civiltà, dove la legge della violenza è nascosta dietro una
retorica democratica. E chi le gestisce, direttori e guardie in primis,
se ne assume nei fatti la piena responsabilità. Infatti il silenzio di
cui si circondano le galere è lo strumento che per primo assicura
l’impunità agli aguzzini e che per questo deve essere infranto.

Come è successo dopo la morte di Francesco, avvenuta l’8 giugno di tre
anni fa qui a Monza.

Un caso che si sarebbe potuto perdere tra i trafiletti di qualche
giornale di provincia se i parenti e amici non avessero deciso di
lottare perché non passasse sotto silenzio questa ennesima morte di
carcere.

Per ricordare Francesco, sostenere coloro che ogni giorno si battono
contro queste mura sia da dentro che da fuori, contro le morti di
carcere e il sistema che ne è direttamente responsabile

PRESIDIO ore 11 davanti al carcere di Monza Sanquirico

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