Care compagne e cari compagni,
scrivo questa mia con l’obiettivo di raccontare il mio arresto e la mia situazione carceraria ora che ho conquistato una condizione detentiva che mi permette di recuperare le mie totali facoltà fisiche e psicologiche. Per ottenere ciò, ho combattuto e lottato molto, ed ho “pagato” ogni singola parola di questa lettera. E ne vado orgoglioso. Alcune mie lettere precedenti non sono mai arrivate a destinazione. Hanno provato a inserirmi in un determinato circuito carcerario e a disgregare la cerchia degli affetti a me più cari.
Sono stato oggetto di violenze psicologiche e minacce durante il mio arresto, indirizzate a me e soprattutto ai miei genitori. Sono stato provocato per ore in una stanza della Questura di Brescia. Nei primi mesi della mia detenzione a Monza, oltre alla minaccia di psichiatrizzarmi per via del mio lontano passato, sono stato oggetto di minacce fisiche, psicologiche e sessuali da parte di certe tipologie di detenuti. Se tutto ciò non ha avuto conseguenze gravi è stato unicamente grazie alla capacità che ho trovato fin da subito di reagire e di lottare, con grande fatica, fino ad arrivare a rovesciare la situazione in sezione alla fine della scorsa estate, dando il mio contributo a forme embrionali di mobilitazione rivolte soprattutto alla questione sanitaria interna. Per mesi ho affrontato crisi di tossicodipendenza, tagli in cella, vomito e piscio di concellini dovuti all’abuso di farmaci. Non entro nel dettaglio, ma posso assicurare che la situazione era veramente pesante. Se non ho fatto uscire quanto stava avvenendo è stato per la premura – che oggi considero un errore, perché ti fa soggiacere involontariamente a un ricatto – di non far preoccupare i miei cari. L’aspetto più brutto è che ho dovuto lottare contro altri detenuti. Vedere a quali bassezze può giungere gente della mia classe mi ha provocato non poco dolore. Mi sono dovuto scontrare quotidianamente con nazisti, estremisti mussulmani, infami, violentatori e pedofili. Vengo dalla strada. Non sono cose nuove. Non mi hanno stupito, ma ferito sì.
Ho potuto contare sul sostegno di ragazzi con un’etica forte che, da potenzialmente avversi, sono diventati vicini a me. Ho vinto questa piccola e parziale lotta grazie alla presenza delle mie compagne e dei miei compagni fuori, delle persone vicine e solidali, perseguendo assieme e con orgoglio ciò in cui credono e credo.
Se accenno a questo non è né per “vittimismo” né per chiedere aiuto. Ora sto benissimo. Non mi sono mai aspettato nulla dal mio nemico, come non mi stupisco della situazione molte volte indegna della classe sociale a cui appartengo. Ho invece potuto contare sul rispetto dei “vecchi” galeotti e, di conseguenza, dell’intera sezione.
Sono orgoglioso di essere anarchico. Orgoglioso di avercela fatta qui dentro, del coraggio e della forza di lottare. Mi rivendico di avere un cuore che esiste e batte solo nella solidarietà e con la solidarietà verso chi è sfruttato e verso ogni individuo che lotta. Che poi è proprio quel moto d’animo che criminalizzano e provano ad uccidere. Rivoltarsi contro questo mondo di morte, di miseria e di oppressione è necessario e bello, qualunque siano il prezzo da pagare, le difficoltà e gli errori. Il nostro cuore ce lo detta, perché un abisso etico e pratico ci separa da loro.
Ed ora vengo al sodo. Dopo questa fotografia parziale della mia vicenda, voglio dire due cose per contribuire ad una riflessione con le compagne e con i compagni. Attraverso il mio arresto e la mia condanna per favoreggiamento con l’aggravante di “terrorismo” perché accusato di aver aiutato Juan quando era latitante hanno voluto creare un precedente. Quello di criminalizzare esplicitamente la solidarietà. Grazie a una normativa recentemente promulgata (1/03/2018) possono aggravare in maniera significativa ogni singolo “reato”, di fatto senza alcuna prova. Il che è applicabile non solo all’ambito anarchico, ma contro ogni sfruttato che lotta. A questo dedicherò in futuro un’analisi più approfondita. Grazie a quell’aggravante hanno esteso perquisizioni, sequestri, intimidazioni, colpendo un po’ a casaccio una serie di legami affettivi. Davanti a tutto ciò, è fondamentale ribadire forte e chiaro che non ci fanno paura, perché la solidarietà è parte integrante dei nostri cuori, del nostro agire e del mondo altro che portiamo dentro di noi. Un discorso da unire sempre alla necessità della rivolta etica e pratica contro questo mondo becero di sfruttamento e autorità, e contro i privilegi che lo rendono possibile. Il Dominio teme i rapporti diretti tra le persone, cioè il mutuo appoggio dal basso, e li combatte quotidianamente: dalle leggi “anti-degrado” a quell’insieme di norme burocratiche che di fatto impediscono ogni forma di autonomia agricola e alimentare.
Per questo motivo (e non solo), dinnanzi alla repressione è necessario un discorso di autodifesa collettiva. Solo un discorso chiaro e insieme molteplice, aperto alle novità delle diverse sensibilità, permette di accumulare forze e rovesciare il discorso del nemico di classe.
Un abbraccio a tutte e a tutti!
carcere di Monza, 6 febbraio 2010
Manuel Oxoli
P.S. Dal 6 marzo Manu si trova agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni (può vedere solo famigliari conviventi).