Ieri ci ha lasciati Bambina Villa, staffetta partigiana. I suoi 93 anni sono stati dedicati con passione alla partecipazione alla Resistenza antifascista e al suo racconto alle nuove generazioni, quelle che il Fascismo lo hanno conosciuto sui libri di scuola e non lo hanno vissuto sulla propria pelle. Noi, che apparteniamo a questa nuova generazione, abbiamo avuto la fortuna ed il privilegio di incontrare Bambina Villa l’anno scorso, in occasione di un’intervista che il BOCCACCIO le fece per ampliare "Monza Partigiana" con la sua preziosa e lucida testimonianza. Ne siamo rimasti colpiti, per tanti motivi che sarebbe difficile descrivere a parole, ma effettivamente possiamo dire che la forza e la vitalità di questa donna non potrebbero essere descritti meglio che dal suo nome. Ora non possiamo che fare tesoro delle sue parole e del suo invito sincero a raccogliere il testimone di chi ha combattuto il Fascismo, per opporci e non assecondare chi oggi si ispira, in maniera più o meno esplicita, alle politiche di regime. Qui di seguito riportiamo un estratto di quell’intervista, la parte di "Monza Partigiana" a lei dedicata: un piccolo omaggio che ci impegnamo presto ad integrare con nuove iniziative, perchè tanti altri possano conoscere chi è stata Bambina Villa, staffetta partigiana.
Ciao Bambina
Una delle testimonianze più significative sugli anni della Resistenza in Brianza è quella di Bambina Villa, partigiana di Oreno. Abbiamo incontrato Bambina nella sua abitazione a Monza: ci ha rilasciato una lunga intervista nella quale abbiamo ripercorso le sue esperienze di vita negli anni del Fascismo, della guerra e della lotta di Liberazione partigiana. La narrazione, unica per la ricchezza degli episodi raccontati, diventa sempre più coinvolgente, viva ed attuale grazie alla straordinaria lucidità con la quale Bambina ci guida alla scoperta di quegli anni attraverso la sua biografia.
Sono nata ad Oreno, un piccolo paese agricolo, il 19 dicembre 1916. La mia era una famiglia contadina numerosa: mia madre ha avuto 16 figli ed io avevo 7 fratelli.Mi sono spostata il 27 aprile 1940, con un ragazzo che avevo conosciuto nel 1939. In quegli anni la situazione stava peggiorando, in paese ed in famiglia si cominciava a parlare di guerra.Poco dopo infatti, nel giugno del 1940, l’Italia entra in guerra accanto alla Germania.In paese subito si pensa ai militari, a coloro che partiranno. Corrono le prime voci: «Hanno richiamato anche questo, lo conosci? ed anche quello…». Nel settembre del 1940 vengono richiamati i corpi speciali. Mio marito, che era artigliere, viene richiamato, e si trasferisce a Casale Monferrato per l’addestramento. Resta lì per quasi un anno e mezzo, poi parte per la campagna di Russia. Durante la ritirata dell’esercito italiano, mio marito muore congelato.La morte di mio marito, la sofferenza per questa perdita, mi ha dato un senso di rabbia, di rivolta. Li hanno mandati in Russia, vestiti come se fosse estate… com’era possibile?Allora inizi a pensare di dover fare qualcosa, perché la guerra è dappertutto, anche vicino a te, e non si può andare avanti in questo modo. E questa rabbia non era solo mia, ma tutto il paese mormorava, e serpeggiava ovunque il malcontento. Dal fronte continuavano ad arrivare le notizie dei morti. Perché morivano tutti questi ragazzi – ci chiedevamo – dov’era la guerra, cosa c’entriamo noi con la Russia? Intanto le condizioni di vita peggioravano sempre di più: con l’introduzione delle tessere iniziava il razionamento dei viveri; sul lavoro era richiesta una produzione sempre maggiore…se prima lavoravi per uno, ora bisognava lavorare il doppio, poiché lo richiedeva la guerra…Si cominciava a parlare delle repressioni che avvenivano nelle fabbriche contro gli antifascisti, che venivano licenziati. Lì, in quei momenti, la gente ha incominciato ad odiare sempre di più il fascismo.
Nel 1943 Bambina ha 27 anni. Dopo il matrimonio e la morte del marito, è tornata a vivere a casa: lavora a San Maurizio, in una fabbrica di tessuti che dipende dal grande linificio di Vimercate.Le condizioni di vita sempre più difficili alimentano il malcontento e la rabbia dei lavoratori, che esplodono negli scioperi del mese di aprile. In Brianza arriva la voce di quanto succede nelle fabbriche della vicina Sesto San Giovanni.
Gli scioperi del 1943 hanno dato inizio alla lotta di liberazione: in paese arrivano ben presto le notizie degli scioperi delle grandi fabbriche di Torino e di Sesto San Giovanni. Io lavoravo in una piccola fabbrica a San Maurizio, che faceva parte del Linificio di Vimercate. Eravamo circa 60 operai: in 3 avevamo costituito la commissione interna, che aveva il compito di tutelare gli operai affrontando i vari problemi relativi alle condizioni di lavoro.Nel giro di pochissimo tempo, coordinandoci con le fabbriche di Sesto San Giovanni, abbiamo organizzato lo sciopero generale il 17 aprile del 1943, tutto in gran segreto, perche “altrimenti ti portavano via”. Lo sciopero è stato un successo, ha paralizzato completamente la produzione. Questo è stato il primo colpo che abbiamo dato al fascismo ed ai tedeschi. Ma non era sufficiente: lo sciopero avrebbe dovuto continuare. Ci dicevamo: cosa serve un solo di sciopero? Dobbiamo continuare per far sentire la nostra voce!. L’indomani ci rifiutiamo di entrare in fabbrica per metterci al lavoro. Il direttore dello stabilimento ci riferisce che a Vimercate, al Linificio, gli operai hanno ripreso a lavorare. Noi non gli credevamo, pensavamo fosse un pretesto per indurci ad entrare. «Noi non entriamo!» gli ho risposto. Poco dopo arriva un dirigente dal Linificio e si rivolge a noi: «O entrate in fabbrica, oppure per voi c’è la Germania».Sapevamo cosa ci aspettava in Germania: o lavorare, o crepare. Allora siamo entrati in fabbrica.
8 settembre 1943. L’armistizio decreta la fine del conflitto tra Italia ed Alleati: nel nostro paese, già stremato dagli anni di guerra, si costituisce la Repubblica Sociale ed inizia l’occupazione nazista. La fine della guerra, la volontà di liberare il paese dal fascismo e dall’occupazione germanica spingono tanti giovani ad entrare nelle file della Resistenza. Bambina entra a far parte di una formazione partigiana e, prendendo spunto dagli episodi autobiografici, ci riporta alla luce un drammatico episodio della Resistenza in Brianza.
Dopo gli scioperi del 1943 e dopo l’8 settembre si erano costituite le formazioni partigiane: io entro a fa parte della103° Brigata Garibaldi come staffetta con il nome di battaglia Rosanna. Avevo 27 anni.Il mio compito era trasportare le informazioni da un posto ad un altro: una volta alla settimana andavo a Milano a prendere ordini e documenti e li riportavo a Vimercate, dove c’era il nostro comando che coordinava le azioni. Il sabato pomeriggio prendevo il tram ed andavo fino in piazzale Loreto, dove aspettavo la compagna Lella. Andavamo in una chiesa, perché era pericoloso stare in giro: fascisti e tedeschi controllavano i movimenti di tutti. Ricevevo gli ordini, me li nascondevo addosso e riprendevo il tram per Vimercate. Era un’attività molto pericolosa: un sabato, mentre tornavo in paese, il tram su cui viaggiavo venne preso a mitragliate. Io, che non mi sedevo mai e stavo in piedi accanto alla porta, per poter scendere di corsa in caso di necessità, sono saltata giù dal tram. Mi sono salvata, ma quanti feriti!Oltre a questo, facevo anche l’infermiera. I partigiani feriti non potevano ricorrere agli ospedali normali, a meno di gravissime condizioni, e quindi venivano ricoverati nei cascinali. All’ospedale di Vimercate avevo fatto un corso di infermiera con il professor Miani, una persona proprio perbene, che mi aveva messo a disposizione un medico per insegnarmi alcune cose. Nel pomeriggio, finito il lavoro, andavo al corso che si teneva all’ospedale per imparare a fare medicazioni, fasciature ed altre cose simili. Questa attività mi ha dato impegno e tanta, tanta forza: a mezzogiorno andavo a curare feriti e malati nei cascinali, invece di mangiare.Tutte queste attività erano pericolose, ed erano un gran segreto: in famiglia non sapevano nulla di quello che facevo. Non sempre rientravo a casa, era troppo rischioso. Visto che ero vedova, avevo la camera da letto nella famiglia dove mi ero sposata, ed a volte tornavo lì in modo da essere fuori dal paese.Tra le diverse azioni condotte, ricordo molto bene quella che fecero i ragazzi partigiani ad Arcore, presso il campo di aviazione, dove c’era il comando tedesco. Era un punto importante per i nazisti, poiché da lì sferravano gli attacchi ai nostri partigiani, con l’aiuto dei fascisti.La sera del 29 dicembre del 1944 i partigiani decisero di attaccare il campo. I ragazzi circondarono il comando, ed il nostro comandante, Igino Rota, entrò nella grande sala dove erano riuniti i tedeschi. Intimò ai soldati l’“alto là”, ma la sua pistola si inceppò. Morì crivellato dai colpi dei tedeschi. Gli altri ragazzi riuscirono a scappare. I nazisti fecero esporre il corpo del comandante per 2 giorni all’ingresso della Falck di Arcore, dove Rota lavorava: volevano che qualcuno, entrando al lavoro, lo riconoscesse e fornisse informazioni per poter risalire agli altri partigiani. Ma nessuno parlò. Intanto i partigiani che avevano partecipato all’azione erano fuggiti dalle loro case per paura di una rappresaglia.Tuttavia, grazie alle spie, i tedeschi vennero presto a sapere i nomi degli altri ragazzi coinvolti nell’azione: dopo otto giorni tedeschi e fascisti organizzarono un rastrellamento e catturarono Emilio Cereda, Pierino Colombo, Aldo Motta, Renato Pellegatta, Luigi Ronchi, mentre il solo Carlo Levati riuscì a fuggire.I giovani vengono portati nel carcere di Monza: dopo gli interrogatori, le botte e le torture vengono condannati a morte. Nonostante le violenze subite, nessuno rivela i nomi degli altri membri delle brigate partigiane.Il 2 febbraio del 1945 i tedeschi portano i partigiani al campo di aviazione di Arcore, dove era stata tentata l’azione: lì vengono fucilati tutti. E’ stata la cosa più tremenda che c’è stata da noi, da queste parti, ed ha destato una grande indignazione, un grande dolore. Ma nonostante tutto bisognava andare avanti, mandando indietro il dolore e la sofferenza: le azioni dovevano continuare.
Le feroci e brutali repressioni nazifasciste lasciano profonde e dolorose ferite nel paese, ma nonostante questo, grazie al coraggio di molti, la lotta partigiana prosegue. Le sorti del conflitto appaiono segnate, e le speranze di liberazione si fanno sempre più concrete.Un episodio di cui Bambina è protagonista ci riporta al clima di quei giorni, quando il ricordo dei partigiani caduti precede il 25 aprile e la Liberazione. Il racconto offre anche la possibilità per le ultime riflessioni sulla natura della lotta partigiana e sul significato della Resistenza, con uno sguardo particolare rivolto al ruolo delle donne.
L’8 marzo del 1945 insieme alle donne dei Gruppi di Difesa decidemmo di ricordare i nostri martiri. Con tre compagne, Angelica, Ginetta e Paola, preparammo dei grossi mazzi di mimosa ed uno striscione grande, largo, rosso con la scritta “8 marzo, giornata di difesa della donna, ricorda i suoi martiri”. Quell’anno l’8 marzo cadeva di domenica: io e le altre ragazze partimmo da Vimercate per andare al cimitero di Arcore. Era prestissimo, perché nessuno ci doveva vedere: abbiamo sistemato i mazzi di fiori e lo striscione sulle tombe dei nostri ragazzi. Poi siamo uscite di corsa e siamo rimaste fuori dal cimitero a vedere quale sarebbe stata la reazione delle donne che, fuori dalla messa, solitamente visitavano il cimitero. Non appena entrate – poiché lo striscione era quasi all’ingresso – sono uscite di corsa, gridando: «Sono arrivati i partigiani! E’ finita la guerra, sono arrivati i partigiani!». Subito una processione di gente da Oreno, da Vimercate ha cominciato ad arrivare al cimitero, mentre la voce di quanto accaduto si diffondeva nel paese.I fascisti – soprattutto – ed i tedeschi, nel vedere il movimento, si impressionarono: scoperto il fatto, distrussero tutto quanto ed arrestarono il custode del cimitero, poiché lo ritennero coinvolto in quanto successo.Quell’azione è stata come un soffio di vento..la gente ha iniziato a credere, a gioire, a dire: «Basta, è finita la guerra!». E’ stata una cosa che ha onorato i nostri martiri e che ha dato il giusto risalto al ruolo delle donne nella resistenza. Le donne italiane raccoglievano soldi, vestivano ed accoglievano i partigiani, davano loro mangiare e li nascondevano quando erano braccati dai fascisti.Poi c’è stata la liberazione, una cosa grandiosa. Per noi, per tutti era la cosa più grande e bella della vita. La resistenza è stata un movimento che ha organizzato tutto il paese, anche i bambini, perché la guerra ci aveva stancati, ci aveva completamente distrutti: vivevamo nella miseria, come morti.Ho sentito la gioia più grande della mia vita il giorno in cui è finita la guerra. E’ stato il giorno della liberazione di tutti, indistintamente. Ci ha dato la forza di continuare, perché finita la guerra tutto era da ricostruire, bisognava lavorare ed impegnarsi più di prima ed io ho sempre continuato a lottare.In quegli anni ho dato tutto, ho rischiato tutto. Ci sono momenti in cui hai la consapevolezza di fare una cosa giusta, una cosa da fare per salvare tutto, non solo te stesso: in questi momenti ti viene una forza che non c’è nessuno che ti può fermare. Le nostre donne, i nostri partigiani hanno dato tutto, hanno dato la vita. In certi momenti non pensi che le cose che fai sono pericolose, pensi solo che è necessario farle per far finire la guerra, per far scomparire il fascismo dalla faccia della terra.La liberazione è stata una guerra del popolo, una guerra che ha fatto il popolo italiano e che ha creato le condizioni – a prezzo del sacrificio della vita di tanti partigiani, di tanti compagni – per distruggere il fascismo. Questo è il nostro orgoglio, l’ aver salvato il nostro paese, l’ avergli dato una costituzione, che è stata la premessa per creare le condizioni cha vediamo ancora oggi.Infine, voglio ricordare ancora il ruolo delle donne, che hanno dato un contributo fondamentale: senza le donne la guerra di liberazione non sarebbe stata vinta. Le abbiamo viste in fabbrica, in montagna, in città. Hanno raccolto fondi, vestiti, hanno nascosto partigiani, li hanno sfamati. Hanno visto i figli, i mariti, i parenti al fronte: hanno molto sofferto, ed hanno dato un contributo importantissimo, incredibile.