Lo scorso 16 luglio Redouane Messaoudi è morto nel carcere di Monza. E’ già il
secondo detenuto che muore quest’anno nel carcere della nostra città in
condizioni da accertare, ma nessuno – né mezzi di comunicazione, né opinione
pubblica locali – ne parla. Messaoudi era in carcere in attesa del processo. Lo Stato non sapeva ancora se era colpevole o innocente ma aveva deciso di rinchiuderlo lo stesso, preventivamente.
Questo accade in un carcere, quale quello monzese, in cui il sovraffollamento è
la norma e il disagio dei detenuti si manifesta sempre più spesso con atti di
autolesionismo e tentati suicidi. Sono 840, dei quali il 45% stranieri, i detenuti presenti dietro le mura della casa circondariale monzese a fronte di una capienza regolamentare di 405 detenuti. Nel 2011 si sono verificati 7 tentati suicidi e 16 atti di
autolesionismo, a cui si aggiungono i due casi di morte da accertare di cui
l’ultimo è quello di Messaoudi.
Messaoudi era diabetico e con un curriculum psichiatrico di tutto
rispetto ma nonostante ciò, nella comunicazione dal carcere, si fa riferimento
al suo rifiuto di assumere l’insulina come possibile causa di morte. Secondo il
suo avvocato, il giorno precedente al decesso, avrebbe rifiutato per due volte
la somministrazione dell’insulina, ma nemmeno lui in qualità di suo legale ha potuto
assistere all’autopsia.
Il fatto che fosse un malato diabetico e psichiatrico, più volte “ristretto” in
ROP e OPG (ospedale psichiatrico giudiziario) vari, lasciato morire senza un adeguato
supporto medico e psicologico, fa nascere degli interrogativi sulla legittimità
della sua detenzione.
Un’altra morte di carcere troppo agghiacciante per non essere urlata, eppure,
come sempre, dalle mura del carcere monzese non esce nulla.Lontano dagli
interessi delle istituzioni e dagli occhi della cittadinanza, si continua a
morire. E’ una vera e propria emergenza sociale creata e fomentata dalle politiche
sempre più repressive e liberticide portate avanti negli ultimi anni, che
colpiscono in particolare piccoli consumatori di stupefacenti e immigrati.
Quasi sempre a finire in carcere e a morirci sono i figli e le figlie dei quartieri
più poveri, delle classi socialmente deboli ed emarginate che spesso fuori ad
attenderli non hanno nessuno.
E’ giunta l’ora di dire basta.
Non lasciamo che anche Messaoudi venga sepolto senza che siano individuate omissioni
e responsabilità, coperte dal complice silenzio della città indifferente. Le
morti in carcere sono la manifestazione e la conseguenza più tragica delle
terribili condizioni in cui le decine di migliaia di persone detenute, sono costrette a vivere: strutture
fatiscenti, condizioni igienico-sanitarie disastrose e sovraffollamento sono
all’ordine del giorno nelle carceri italiane. Se le carceri sono cosí
sovraffollate, non sará forse che lo Stato incarcera troppo e troppo spesso?
L’aggravarsi della crisi, che ormai è la norma di questo sistema, e la
criminalizzazione di comportamenti considerati “devianti” portano sempre piu’
persone a scoprire la faccia feroce di questa societa’: quella di uno stato che
risponde con la repressione a ogni manifestazione di dissenso sociale e che
crea le condizioni per incarcerare indiscriminatamente la parte meno garantita
della popolazione Il problema della repressione e delle morti di carcere non è
un problema personale: è prima di tutto un problema politico e sociale su cui
tutti sono chiamati a prendere posizione ed a mobilitarsi.
CordaTesa
Info e contatti: cordatesamonza@autistici.org cordatesa.noblogs.org