Una montagna di scarpe: da tennis, col tacco, da sera, di vernice, di cuoio, appaiate e scombinate.
Lo scaffale te lo trovi sulla sinistra appena entri, ed insieme allo specchio che copre tutta la parte e le tre sedie bianche di plastica, costituisce l’arredamento di questa piccola stanza. La casa non ha serratura, almeno non mi pare: si spinge forte la porta di legno chiaro sia per entrare che per uscire, evitando così di perdere le chiavi.
Una volta entrati non andiamo oltre e ci accomodiamo sulle uniche sedie presenti formando un semicerchio che dia comunque la possibilità alle persone di passare dalla stanza al bagno o alla cucina.
Da dove sono seduta ne intravedo appena il lavello ed il rubinetto: quando arriviamo una giovane donna sta lavando dei piatti in silenzio. Nessun altro è presente. Successivamente si alterneranno altre due donne, un ragazzo con un maglione sportivo e dei jeans alla moda per bere qualcosa di caldo, altri due uomini con del pane in un busta, Alì che rientra tenendo stretta una bombola del gas,
un giovane maliano che mi ricorda tanto Ballotelli e che sopra al maglione nero di lana indossa la maglietta azzurra della nazionale greca.
Mi siedo senza troppa esitazione, guardo incuriosita Fodè impilare una sedia sopra l’altra per evitare di cadere visto che ad una di esse gli mancano due gambe, e mentre mi sistemo i capelli portando indietro la frangia con la mano destra sento che non posso far altro che aspettare, concedendo un sorriso a chi mi sta di fronte.
Sono a mio agio, stai tranquillo, non ti preoccupare, grazie dell’invito, niente caffè, non lo bevo di solito, va bene così.
250 diviso 19 uguale 13.
Duecentocinquanta euro al mese diviso diciannove persone uguale13 euro a testa.
19 per 2 uguale 38.
Trent’otto scarpe.
Ecco svelato il mistero, penso io, mentre Fodè inizia a raccontarci un po’ della vita di questa casa. Un’abitazione come tante altre qui a Kipseli; sovraffollata, vecchia, di proprietà di un arabo che non ha mai incontrato ma che puntuale reclama i soldi dell’affitto attraverso un africano cui piace far scivolare un po’ di euro nelle proprie tasche.
Inaspettatamente ci mostra delle fotografie: “anche io sono un fotografo”, mi dice, “questa l’ho fatta con una Canon!” La foto, scattata da lontano, ritrae due persone a figura intera che si scambiano dei doni.
-“C’est ta souer que donnes les cadeaux ou le contraire?”
-“Oui, c’esta ma souer que donne les cadeaux a le vieux president du Malì.”
Parla piano, Fodè, mettendosi spesso la mano davanti alla bocca, e nonostante io non parli francese da tempo e lui non l’abbia mai studiata non risulta difficile capirsi. L’aiuto di Vincent, francese di nascita ma senza “r” moscia, aiuta la conversazione a prendere il volo.
Provo una fugace sensazione di smarrimento solo quando Vincent riceve una telefonata e si assenta, restando immobile, per una quindicina di minuti; l’occasione rende me e Fodè più vicini, e quando lui parla ancora più piano per non disturbare la telefonata, le nostre sedie si avvicinano ancora un po’ concedendoci un’intimità indisturbata. In quest’arco di tempo gli faccio tantissime domande, forse per paura di restare in silenzio, e tra un “je ne pas compris” e delle risposte sussurrate mi racconta della sua fuga dal Mali, della morte di suo padre, del desiderio improvviso e quasi forzato dell’Europa.
A causa del colpo di Stato suo papà, un uomo di cui conosco appena il viso grazie ad una vecchia foto in bianco e nero ma di cui mi sfugge la voce, viene ucciso in una mattina primaverile. Lo scoppio della guerra, l’impossibilità di trovare un lavoro, la responsabilità di portare a casa dei soldi e un po’ di coraggio, lo spingono a partire.
Algeria, Marocco, Turchia, il passaggio lungo l’Evros, l’arrivo in Grecia e lo scrosciare del fiume che diventa ricordo.
“Il mercoledì e il sabato pomeriggio lavoro al mercato dei greci” – racconta, ed a me non è poi così chiaro cosa intenda con questa definizione – “però fino alle cinque, perché poi arriva la polizia e corriamo tutti via! Il sabato notte, invece, c’è quello africano…”
“Le marchè africaine?” -incalzo io curiosa e sorpresa- “Où se trouve?” e mentre gli domando dove si trova non posso fare a meno di guardare con insistenza il viso di Vincent sussurrandogli con gli occhi “we have to go!”
Il mercato africano si svolge ogni sabato, dalla mezzanotte alle quattro, in una zona adiacente a Platia Amerikì, in Kipseli, uno dei quartieri più popolati da migranti, e mentre Fodè continua a parlare la mia mente vola: immagino lenzuola stese a terra cosparse di vestiti ed oggetti fuori moda, lampioni offuscati che lasciano intravedere a mala pena i volti delle persone, thermos ripieni di bevande calde addolcite da alcol e miele, persone sdraiate che chiacchierano in dialetti sconosciuti masticando tabacco, rumore di passi, odore di cibo e fumo.
Ci salutiamo con la promessa di andarci.