Riconoscere le strade dai particolari. Aspettarsi quell’insegna proprio lì, dietro l’angolo. Mi avvicino ad Omonia percorrendo con il pulman il breve tratto che collega la stazione degli autobus al centro di Atene. Quindici minuti in cui guardo insistentemente fuori dal finestrino lasciando che i ricordi di aggiungano e si ritrovino. Dalla stazione si può scegliere di arrivare a Syntagma o ad Omonia. Due piazze, due mondi. Scelgo Omonia senza nemmeno pensarci: meglio trovarsi davanti un tossico piuttosto che una guardia reale.
Respiro e stringo tra le mani il biglietto che non timbrerò.
Risalgo via Kostantinou per poche decine di metri, dopodiché la piazza mi si apre davanti. Uguale a come la ricordavo, non mi sorprende: traffico circolare che ti lascia passare solo quando lo decide lui; il periptero (una specie di edicola in cui è però possibile acquistare di tutto) che invade il marciapiede con i suoi banchi contenenti riviste e giornali di qualsiasi tipo, amico fidato dei camminatori notturni in quanto aperto ventiquattrore su ventiquattro; il fast food dal nome greco ma dalla filosofia americana in cui più di una volta ho accompagnato Michela a prendersi il kalamaki ma mai il pollo allo spiedo da 5 euro; la scala della metropolitana sulla sinistra da cui echeggiano le grida dei venditori dei biglietti della lotteria. In questo primo pomeriggio estivo non mi soffermo su nulla di tutto ciò, quasi mi bastasse constatare che questa quotidianità ancora esiste, apparentemente immutata.
Dalla posizione in cui sono arrivata Athina strreet è proprio aldilà della piazza, un poco spostata sulla destra. Emozionante percorrerla. E’ la mia preferita, inutile nascondermelo. Risalendola tengo il lato sinistro della strada affinché la puzza del mercato del pesce e della carne possa accompagnarmi per un poco. Gli zingari che vendono l’aglio stando seduti su cassette di plastica rovesciate sono ancora lì, proprio come le buste di spezie impilate l’una sopra l’altra, compresse in bustine sottovuoto incapaci di trattenerne l’odore.
Cammino veloce senza motivo.
Quando svolto a sinistra in via Everipidou i motorini contromano mi superano sulla destra costringendomi a camminare rasente al muro: difficile da percorrere anche in bici, mi domando fin dove questo traffico anarchico possa arrivare. Davanti al bar verso cui sono diretta la palizzata di ferro non è mutata, segno che i lavori sono in corso, ma da un’altra parte. In questo preciso tratto di strada la via si stringe ulteriormente e capita spesso di dover cedere il passo alle persone che mi vengono incontro prima di poter passare.Seduta sul gradino di un portone dalla porta di legno lascio che la schiena si riposi prendendo la forma dell’inferiata. L’anziana signora dalle gambe gonfie ed il seno sformato mi fa compagnia: il suo “ena euro, parakalò” (un euro, per favore) investe ogni passante. Non c’è via di scampo e la sua insistenza è il modo migliore per mettere in tasca qualche moneta. Da una busta di plastica sfila un borsello rosso di finta pelle ed infila velocemente il bottino senza guardarsi intorno. Seduta dall’altro lato del marciapiede odo il tintinnio delle monete ed ipotizzo un possibile guadagno.
Dora arriva in motorino, come sempre, e con il casco in testa, come sempre. Una rarità, da queste parti. Prima di toglierselo lega il papaki, ed in questo breve lasso di tempo resto a sorriderle insistentemente immaginando il suo volto. Adoro fare sorprese.
-“Agapi mou!” mi dice abbracciandomi forte forte.
Restiamo così.
-“Sei fresca…” le rispondo io accarezzandole le guance.
Anche le sue mani sono fredde. Me l’aveva detto, tempo fa, che era freddolosa.
Prima di iniziare a lavorare si prende il tempo di una sigaretta: cinque minuti di confidenze che s’inseguono veloci tra l’accendino ed il posacenere. Le notizie non sono sempre buone, come normale che sia, ed il lavoro è spesso il motivo principale delle preoccupazioni. Uscendo dal bar lascio che un dvd resti a penzolare sul manubrio del suo motorino, riprendendo così una comunicazione silenziosa fatta di piccoli messaggi reciproci. Riparto grintosa lasciandola lì: ci rincontreremo alle sette, e tra un bicchiere di vino pagato ed un calice offerto infilerà nel mio zaino due libri usati di Herman Hesse che non vuole assolutamente farmi pagare.
-“Ti serviranno, ad Agosto, sull’isola…” dice scherzosa prendendomi sotto braccio.
Raggiungendo Marianne ad Exarhia per la cucina collettiva cammino veloce senza motivo. Banalmente penso sia bello avere pochi amici fidati ed una città in cui è bello tornare.
In questo sabato pomeriggio mi sento come una bambina che ha ritrovato i genitori appena pensava di averli persi.
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