Il rito, è annuale.
Si svolge sempre nello stesso periodo e con modalità simili: stessi strumenti, stessi protagonisti, stessa finalità.
Un rito privato ma capace di assumere una dimensione pubblica: si svolge in uno spazio domestico che, per le sue caratteristiche intrinseche, coinvolge anche persone esterne al ritratto famigliare.
Un rito individuale e collettivo allo stesso tempo, che mostra agli altri semplici oggetti privati di uso comune istituendo così una relazione tra la casa e la gente che passa per strada.
-“καλημέρα Pητα!” (Buongiorno Rita)
Capisco che sono le nove. Dimitri è puntuale. La colazione mi aspetta in cucina al piano di sotto: grissini ricoperti di sesamo, una tazza di latte fresco colma fino all’orlo, il vasetto di vetro al centro della tavola ed il cucchiaino al suo fianco per spalmare l’olio, denso e gustoso, sul pane di farina scura, la marmellata di Kostantina e, ovviamente, lo yougurt.
La colazione si svolge spesso in silenzio, come la maggior parte dei momenti in cui siamo seduti al tavolo: minuti in cui il tintinnare delle forchette accompagna i nostri sguardi che si muovono da un piatto all’altro. Involontariamente sappiamo sempre a che punto del pranzo o della cena si trova la persona seduta di fianco a noi. Immaginiamo così le sue prossime mosse: un morso alla fetta di pane, un sorso d’acqua, un altro po’ d’insalata. Accade spesso, però, che ad un certo punto qualcosa scatta, quasi contemporaneamente, in ognuno di noi. In quei momenti l’inglese si mischia all’italiano, il greco prende piede, il silenzio si interrompe e tutti hanno qualcosa da dire. Sovrapposizioni di suoni, parole, immagini riempiono lo spazio facendoci voltare il volto da una parte all’altra, quasi a voler dar retta a tutti nello stesso istante.
Accade, ma non sempre. Accade, ma non oggi.
-“Παω στο αγρόκτημα. περιμένω εδώ” (Vado alla fattoria. Aspetta qui.)
Si alza, si aggiusta la felpa che non toglie quasi mai nonostante i 28 gradi ed esce di casa lasciando me e Kostantina a guardarci negli occhi.
Da un paio di giorni Dimitri ha messo da parte l’inglese e mi parla praticamente solo in greco; io, che volevo questo fin dal primo momento, solo ora mi rendo conto che questo passaggio linguistico è indice di una progressiva intimità e fiducia che stiamo costruendo.
Attendo seduta sulla sedia di plastica blu in compagnia del mio libro; dopo pochi minuti mi sposto al sole, proprio al bordo, dove il cortile finisce per diventare strada. Kostantina, arrancando un poco e tenendo il peso tutto sulla destra, cammina piano verso la casa della vicina: in una mano il suo bastone, nell’altra la scopa. Per me, Kostantina, è il bianco ed il nero: capelli corti e vestiti scuri, indice di un lutto che non passerà. Una morte recente che però ha lasciato dietro di sé 40 alberi di ulivo e una fila di eucalipti pluridecennali lungo la spiaggia di Antirrio.
Anch’io voglio piantare alberi come il padre di Dimitri.
La vicina di casa parla greco ma da dove mi trovo non capisco bene che cosa le due donne si stiano dicendo; ciò che non sfugge è però il suo accento dell’est che conferisce alla frase ancor più esoticità.
Bulgara, mi diranno.
Kostantina torna, sempre arrancando, verso la sua casa: al posto della scopa, uno spazzolone. Anche Dimitri torna, e questo solitamente è il segnale che tra pochi minuti ci sposteremo verso il campo per fare balle di fieno. Intuisco però che qualcosa di diverso sta per accadere perché la canna dell’acqua inizia ad inondare il giardino. Passano solo pochi istanti e lui torna con una marea di tappeti polverosi; li lascia scivolare a terra con l’eleganza che caratterizza la maggior parte dei suoi gesti e mi guarda sorridendo. Gli occhi piccoli, da orientale, si assottigliano ulteriormente.
Kostantina, che non sta mai ferma nonostante i suoi acciacchi, è pronta con la canna dell’acqua; sa esattamente quello che c’è da fare e non ama perdere tempo. Questa sua iperattività è ciò che a volte provoca in Dimitri del nervosismo: un nervosismo, il suo, che però si manifesta in un “rimprovero” affettuoso racchiuso in due semplici parole: σήγά σήγά (piano piano).
Messa da parte per un istante la madre, Dimitri ha così il tempo di srotolare i tappeti.
Il rito ha finalmente inizio.
Le fasi sono molto semplici: si bagnano i tappeti ben bene, si versa del detersivo in polvere e si strofina con scopa e spazzolone da entrambi i lati.
Dopo pochi minuti mi tolgo gli stivali che solitamente indosso nei campi e lascio che acqua e sapone mi rinfreschino i piedi; mentre svolgo questa semplice attività penso a quanto il quotidiano possa essere differente. In una qualsiasi città il rito avrebbe previsto la delega di questa operazione ad una tintoria: una domanda ed una offerta che si esauriscono con il pagamento ed il ritiro dello scontrino. Penso senza giudicare, riflettendo semplicemente su cosa mi fa stare bene. Non c’è un giusto o uno sbagliato ma differenti stili di vita.
L’acqua che scorre fino al tombino profumando di sapone lo sporco e la polvere attira l’attenzione delle signore che passano. Non si stupiscono di quello che vedono e prendono parte a questo momento attraverso consigli e rimproveri. Dimitri, paziente, continua il lavoro invitando le amiche della madre a sedersi per un caffè. Niente da fare, sono troppo impegnate.
La mattina trascorre rapida. Risalgo le scale e mi sdraio sul letto appuntando le parole nuove imparate oggi. Uscendo di casa nel primo pomeriggio attraverso il paese sentendomi parte di una famiglia e di una ristretta comunità a cui, quasi senza chiedere il permesso, sto offrendo la mia personalità.