UNA DISCOTECA NELLA CASA DELLA MONTAGNA.
Via Rosmini 11: epilogo di una storia già scritta.
Molt* ci chiedono notizie sul destino della nostra vecchia occupazione di via Rosmini 11: l’inaugurazione di oggi della “Casa della montagna” da parte del CAI di Monza ci offre l’occasione di fare chiarezza su qualche novità realativa all’area.
LA TRUFFA DEL CAI E I SOLDI DEL MOSS
Tre anni fa un gruppo di affaristi con esperienza nel mercato immobiliare cittadino, per conto della MOSS srl (impresa di ristorazione), acquistava a un prezzo stracciato dalla FIGC metà dell’area di Via Rosmini 11. Le stesse persone offrivano al CAI di Monza la possibilità di buttarsi nell’affare e acquisire la restante metà dell’area, per aprirvi la nuova sede del Clup Alpino o “Casa della Montagna”. L’inedito sodalizio permise di ammantare di un presunto risvolto “sociale” il meccanismo che portò nel luglio 2021 allo sgombero della FOA Boccaccio, che quell’area la faceva vivere da ormai 10 anni. Intanto sempre le stesse persone fondavano la CAMPO MAURO srl, società invece dedita a costruzioni ed edilizia e si comperavano anche l’area di via Rosmini 13, ampliando il raggio d’azione dell’investimento (e della propria speculazione).
Subito mettemmo in evidenza le grandi contraddizioni interne a questa operazione: cosa c‘entrava un locale patinato, frequentato dalla Monza bene, con il Club Alpino Italiano? Quali interessi muovevano questa collaborazione alquanto strana? Forse i soci del CAI avevano voglia di “un’oasi fresh ‘n tasty” per rinfrescarsi dopo lunghe scalate? O forse la MOSS srl, mossa da impegno civico, aveva l’intenzione di recuperare l’area occupata “mediante progetti di utilità pubblica/sociale/sportiva”?
CASA DELLA MONTAGNA O REBEL CLUB?
A due anni di distanza dello sgombero del Boccaccio di via Rosmini 11, possiamo affermare che l’affare sta rivelando, a poco a poco, il suo aspetto più autentico. Esattamente come avevamo predetto a suo tempo.
Di tutto il faraonico progetto “Casa della Montagna” resta una sala di poche decine di metri quadri (e questa, se vogliamo, è una buona notizia, perché i rendering che il CAI ha venduto alla stampa raccontano di un progetto che sventrerebbe il campo da calcio, cementificando tutto il manto erboso per i cosiddetti “spazi polifunzionali”).
Con “grande sorpresa“ invece, da qualche mese a questa parte, dal cosiddetto “Gran Galà di Capodanno” (con ingresso a 30 euro), tra le stesse mura che ospitavano eventi culturali a prezzi popolari, attività sportive autorganizzate e accessibili a tuttə, presentazioni di libri e cineforum, è spuntato il Rebel Club: una discoteca con selezione all’ingresso, ma che allo stesso tempo si definisce “underground”, “selvaggia”, “ribelle”.
L’operazione politica e di marketing è chiara: sostituire uno spazio libero e autogestito con un locale “in”, attraversato da un’utenza più ricca e selezionata; riutilizzare ipocritamente un linguaggio e un immaginario “underground” e alternativo per portare a termine una riqualificazione, oltre che strutturale, anche simbolica; infine, preparare il terreno per la diffusione di una socialità giovanile piegata al profitto, alla sorveglianza, disinteressata ai bisogni reali del territorio.
Nonostante ormai le molteplici aperture settimanali, tutto ciò è passato “stranamente” sotto il silenzio della stampa cittadina, occupata invece a criminalizzare con decine di articoli squallidi e pieni di falsità le iniziative che da due anni si svolgono in via Timavo 12.
CONCLUSIONI
In questo scenario, è evidente come la misera “Casa della Montagna” inaugurata oggi sia stata la leva mediatica per spianare la strada ad attività a scopo di lucro, che gonfiano le tasche ai soliti palazzinari e affaristi di turno, in perfetta sintonia con chi governa la città.
La continuità politica tra Allevi e Pilotto si manifesta anche in un comune modello di città perseguito. Da una parte, celata dietro all’ambiguità di presunti “progetti per i giovani della città”, si nasconde la volontà politica di legittimare sgomberi, interrompere l’esperienza di autogestione e organizzazione spontanea e trasformare in merce relazioni umane e tempo libero. Dall’altra si propone un’idea di città per pochə privilegiatə, spesso user temporanei o saltuari della movida che accelerano le logiche di consumo, a discapito della gioventù monzese sempre più repressa dalla polizia.
Il Rebel Club non è libero, non è selvaggio, non è underground. È al contrario una triste imitazione, l’ennesimo esempio di un processo gentrificatore che ha distrutto relazioni politiche e umane autentiche, nate dal basso per soddisfare i bisogni del territorio e dei suoi abitanti.
Il Rebel Club non è alternativo e non è ribelle. Con i soldi di padroni e palazzinari non si fa controcultura, ma soltanto speculazione e profitto su forme d’intrattenimento standardizzate e conformiste.
Noi continueremo a chiamare le cose con il proprio nome: ciascuno tragga le proprie conseguenze da questa storia che, a tratti contorta, cela la lineare strategia di chi, qui come altrove, antepone il proprio spregiudicato affarismo a tutto.
Continueremo a costruire spazi liberi, autogestiti e aperti alla collettività. In Via Rosmini 11 è successo per 10 anni e oggi continua a succedere in Via Timavo 12. La nostra storia non si sotterra con un pugno di soldi, né si cancella con una semplice riverniciata.