Le prigioni italiane sono una bomba a orologeria che sta per esplodere. Le celle fatiscenti di nove metri quadrati con quattro detenuti stipati dentro, tavolaccio e latrina alla turca, erano già la vergogna d’Europa. Ma oggi nemmeno bastano più. Gli spazi sono finiti. La polizia penitenziaria è poca. I soldi meno ancora. E così il rischio collasso denunciato dallo stesso ministero della Giustizia sta per trasformarsi in emergenza nazionale: se la capienza regolamentare di 44 mila carcerati è già stata superata da tempo, a marzo s’è sforata anche la tolleranza massima dei nostri 207 istituti di pena. Stringendo le celle e ammassando i detenuti al limite dell’umanità si ricavavano poco più di 66.500 posti. Quando in Italia già il 28 febbraio erano rinchiuse 66.692 persone.
A marzo sono oltre 67 mila e il trend non lascia speranze: ne entrano ottocento in più ogni mese. Ma la fotografia anziché migliorare si fa sempre più agghiacciante: da Poggio Reale alla Dozza di Bologna, passando per Brescia, Roma e Palermo la scena è la stessa. Strutture vecchie, poca manutenzione, carcerati costretti a restare venti ore al giorno dietro le sbarre, senza educatori, senza lavorare, senza socializzare. Fra violenze, risse e suicidi.
Il 2010 si è aperto con una lunga scia di suicidi in carcere: nei primi otto giorni dell’anno quattro detenuti si sono tolti la vita a Cagliari, Bari, Verona e a Sulmona. Sono seguiti i suicidi di Eddine Abellativ il 13 gennaio a Massa Carrara e Mohamed El Abbouby il 15 gennaio a Milano San Vittore. Ivano Volpi si è suicidato il 19 gennaio a Spoleto. Ancora un suicidio di detenuto tunisino a Brescia il 22 febbraio. Il 23 febbraio, nello stesso giorno, sono stati registrati due suicidi: a Fermo Vincenzo Balsamo, quarantenne originario del Sud Italia è stato trovato impiccato nel bagno e a Padova si è impiccato Walid Aloui, tunisino di 28 anni. Con loro il numero è salito a 10. Il 24 febbraio si è impiccato con le lenzuola a Vibo Valentia un quarantaduenne di Taurianova, Alessandro Furuli. Il giorno seguente, il 25 febbraio c’è stato un nuovo suicidio di un detenuto italiano di 47 anni, Roberto Giuliani, con fine pena nel 2017, nel reparto G11 di Roma Rebibbia. Giuseppe Sorrentino si è suicidato il 7 marzo a Padova. Un detenuto malato di mente, Angelo Russo, rinchiuso nel carcere di Poggioreale (Napoli) si è tolto la vita il 10 marzo, impiccandosi. Un altro caso a Reggio Emilia il 28 marzo. Il 3 aprile si è tolto la vita Romano Iaria, 54 anni, di Roma, nel carcere di Sulmona, in provincia dell’Aquila.L’ultimo ieri nel carcere di Benevento, un detenuto napoletano collaboratore di giustizia si è impiccato con una calzamaglia.
Solo lo scorso anno erano morte 105 persone, una su tre s’è tolta la vita per disperazione. E la colpa è sempre più spesso del sovraffollamento, la tragedia silenziosa che potrebbe far esplodere in Italia una nuova stagione di rivolte nelle prigioni. Col rischio che torni la paura.
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano aveva annunciato a gennaio un piano edilizio per costruire penitenziari. La previsione è di investire 1,4 miliardi di euro per 24 nuovi istituti, da realizzare con l’ormai collaudato sistema dell’emergenza, sotto l’egida della Protezione civile di Guido Bertolaso. Proprio com’è stato per il G8 della Maddalena. Si partirà con 700 milioni e nuovi padiglioni per espandere le strutture già esistenti. Edifici che dovrebbero garantire 21 mila posti in circa sei anni. Peccato che, anche se i cantieri partiranno davvero e rispetteranno i tempi, da soli serviranno a ben poco.
È il sistema penitenziario italiano che non regge più l’ondata di ingressi. Quasi metà di quei detenuti, infatti, è ancora in attesa del processo. Sono oltre 30 mila gli imputati che restano dentro solo poche ore e la statistica dimostra che il 30 per cento di loro sarà assolto. Ma intanto intasano le galere, segnando il record negativo dell’Unione europea. Dietro di noi c’è la Grecia, che non arriva a 8 mila imputati in carcere, mentre gli altri paesi stanno attorno a quota 4 mila. Eppure il mal del mattone che già nel 1988 portò allo scandalo delle ‘carceri d’orò resta la strada favorita ancora oggi. Si gridano slogan, si invoca la sicurezza, si agita lo spauracchio dei criminali che rischierebbero di tornare in circolazione, quando in Italia le cose non vanno affatto così: sono solo 10 mila i condannati per crimini violenti e 650 i detenuti che scontano il cosiddetto carcere duro. Significa meno di un carcerato ogni sei.
A dare il colpo di grazia a un sistema già sotto stress è stata la Bossi-Fini. Con il risultato che quasi 25 mila detenuti sono, in questo momento, stranieri. Molti di loro vengono arrestati e spesso rilasciati nel giro di poche ore. Il risultato è che in alcune regioni il numero dei carcerati è doppio rispetto alla capienza delle prigioni, proprio perché la metà sono irregolari in transito.