Trasferiti i rivoltosi di porto azzurro

 

Trasferiti in altri istituti sparsi un po’ in tutta Italia. Questa la sorte, inevitabile, dei 16 detenuti che martedì hanno sequestrato due agenti della polizia penitenziaria del carcere di Porto Azzurro.

 

Sedici reclusi, perlopiù stranieri, tutti indagati per sequestro, minacce e resistenza a pubblico ufficiale. Ipotesi di reato di cui ora dovranno rispondere di fronte a un giudice. Sono le conseguenze della protesta inscenata per denunciare le pessime condizioni di vita che caratterizzano l’istituto elbano da un po’ di tempo a questa parte a causa di scarse risorse economiche e alcuni guasti a caldaie e lavatrici: niente acqua calda, lenzuola sporche nei letti, nessun genere di prima necessità a disposizione a cominciare da carta igienica e sapone.

A neppure 24 ore dall’accaduto il provveditorato regionale degli istituti penitenziari ha fatto in modo che i soggetti coinvolti nella protesta fossero immediatamente trasferiti in altre realtà carcerarie della penisola, disperdendoli e disseminandoli nelle più disparate e decentrate località. In Piemonte, ma anche nel centro Italia e nel nord-ovest della penisola.

Un’operazione che pare rientri nel codice penitenziario ogni volta che si verificano episodi del genere, ma che avrà almeno per alcuni dei detenuti anche un’altra conseguenza: l’interruzione del percorso di riabilitazione attraverso lo studio e la formazione professionale avviato a Porto Azzurro che rappresenta anche uno dei fiori all’occhiello di questo istituto. Un buon numero di carcerati trasferiti frequentava regolarmente i corsi di formazione professionale e, in alcuni casi, si preparava a sostenere esami di licenza media.

 

E per concludere una lettera di Carmelo Musumeci, ergastolano di Spoleto, militante politico e impegnato in prima linea in una battaglia per l’abolizione dell’ergastolo, relativa alla situazione carceraria.

Di recente sul Corriere della sera ho letto che il Presidente delle Repubblica Napolitano, riguardo alla nostra Carta Costituzionale, dichiara: "La Carta si onora rispettando le Istituzioni." Signor Presidente, non sono d’accordo. Non credo che la nostra Costituzione si rispetti solo onorando le Istituzioni quando le stesse Istituzioni non la rispettano. La Costituzione Italiana si onora solo quando si applica ai cittadini, a tutti, anche a quelli cattivi che sono in carcere a scontare una pena. Signor Presidente, mi permetta di ricordare che il dettato costituzionale assegna alla pena una funzione rieducativa e non vendicativa. Invece in Italia il carcere trasforma i suoi abitanti in mostri perché fra queste mura non esiste la Costituzione. Signor Presidente, oltre alle responsabilità istituzionali esistono quelle morali e intellettuali. La esorto, guardi cosa sta accadendo dentro le carceri italiane. Esiste ormai una rassegnazione d’illegalità diffusa, spesso incolpevole, sia per chi ci lavora, sia per chi ci vive. La legalità prima di pretenderla va offerta. Invece in carcere ci sono uomini accatastati uno accanto all’altro, uno sopra l’altro. Detenuti che si tolgono la vita per non impazzire.

Ci sono uomini murati vivi sottoposti al regime del 41 bis che non possono vedere neppure la luna e le stelle dalle loro finestre. Ci sono uomini condannati all’ergastolo ostativo, una pena interminabile che può finire solo quando muori o quando trovi un altro da mettere in cella al posto tuo.

Signor Presidente, come fa il carcere e rieducare se sei sbattuto come uno straccio da un carcere all’altro? Lontano da casa, chiuso in una gabbia come in un canile, privato degli affetti, da una carezza e di perdono? Signor Presidente, ci dia una mano a educare le Istituzioni e a portare la legalità e la Costituzione in carcere. Non siamo solo carne viva immagazzinata in una cella, siamo anche qualche cos’altro. Dietro i nostri reati e le nostre colpe ci sono ancora delle persone.

Le ricordo che il rimpianto Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, che in galera passò lunghi anni, diceva spesso: "Ricordatevi, quando avete a che fare con un detenuto, che molte volte avete davanti una persona migliore di quanto non lo siete voi".

 

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