#Honduras – Movimiento Campesino Aguan‏

Sul belvedere di Trujillo la statua di Cristóbal Colón ti accoglie di
spalle. Alta circa un metro e sbiadita nei colori, ha il braccio
destro puntato a oriente, verso la lingua di terra che chiude la
laguna e che ospita il porto commerciale usato dalla multinazionale
Dole per l’export di ananas e banane e dal cartello dell’olio di palma
africana, e verso l’Europa, come a rimarcare l’ineluttabilitá della
Conquista, oggi americana e un tempo europea.


Qui Colombo sbarcó durante il quarto viaggio verso le Indie, facendo
celebrare nel 1503 la prima messa cattolica sul continente americano.
Un evento ricordato nel 2003 alla presenza delle piú alte cariche
cattoliche del continente e dei vertici politici del paese, accorsi in
parata manifestando una volta di piú il bigottismo di una classe
dirigente che usa in modo funzionale qualunque aspetto della vita
della popolazione.
Giá conosciuto in tutto il paese, il Movimiento Campesino del Aguan
(MCA) manifestó le sue istanze anche in questa occasione, mantenendo
alta l’attenzione sulle rivendicazioni per una necessaria e reale
riforma agraria. Nato in seno al sindacato CNTC (Central Nacional de
Trabajadores del Campo), l’MCA è oggi un movimento di lotta campesina
che ha fatto scuola e che vanta figli e parentele politiche in tutto
il paese.
Le prime mosse si registrarono alla fine degli anno ’90, quando un
gruppo di sindacalisti e contadini iniziò a studiare la situazione del
possesso delle terre, quali leggi potevano favorirne l’appropriazione
comunitaria e il riconoscimento legale e quali, tra le terre
inutilizzate, potevano essere occupate. Scelta che cadde su un
territorio piuttosto ampio, bagnato dal fiume Aguàn vicino alla costa
atlantica, dove sorge la cittadina di Trujillo, che era in possesso di
un gruppo di colonnelli che non lo utilizzavano. Nel 2000 iniziarono
le occupazioni, che mobilitarono circa 900 famiglie di contadini senza
terra giunte da tutto il paese.
Una situazione tanto effervescente quanto esplosiva, gestita da una
struttura includente e orizzontale che si appoggiava a piccoli gruppi
sempre attivi negli aspetti chiave, quali logistica, difesa armata,
difesa legale e comunicazione.
E con tutte le difficoltà del caso, da un territorio pressochè
disabitato naque un villaggio di circa 3000 anime, senza elettricità
né acqua, unito dalla complicità delle rivendicazioni, che si diede il
nome di James “Guadalupe” Carney, padre gesuita statunitense che
abbracciò la lotta armata in Honduras a inizio anni ’80 contro quella
che qui è ricordata come “guerra fredda” contro le opposizioni.
Mi raccontano che nei momenti di maggior conflitto, partivano cortei
che bloccavano l’unica strada che dalle piantagioni della Dole arriva
al porto. Come barricate usavano delle sezioni circolari di cemento di
circa due metri che oggi, lasciate in mostra al margine della strada,
danno il nome alla fermata del bus. Una trasformazione emblematica dei
rapporti di forza, sottolineata dal fatto che da anni la polizia non
si arrischia ad accedere nel villaggio.
E se oggi mostrano, con un comprensibile orgoglio, conquiste come
acqua elettricità e una scuola, se a capodanno abbiamo potuto ballare
nel piccolo bar/discoteca che ha aperto, altrettanto sinceramente
parlano di come questa lotta abbia portato alla morte, alla detenzione
e all’esilio alcuni compagni, di come la prospettiva di realizzare,
qui sì, una città modello, per sviluppo comunitarismo solidarietà e
visione politica, abbia perso forza e di come alcuni progetti siano
completamente naufragati. Tanto la lotta per la terra ha unito, così
il riconoscimento dei diritti di proprietà ha indebolito i legami e
portato molte persone a lasciare la militanza per interessi privati.
In questo quadro la repressione della polizia e le minacce dei
terratenenti non sono mai cessate. Sulla testa di 30 persone di
Guadalupe Carney pende un ordine di cattura perché denunciate per il
coinvolgimento in una sparatoria nel 2010, che ha portato alla morte
di un campesino e di dieci guardie private.
Per questo fatto José Isabel “Chavelo” Morales Lopez è in carcere da
quattro anni, senza che ci siano prove contro di lui. Alcune
organizzazioni hanno organizzato una campagna per sollevare il caso a
livello internazionale, riuscendo così a bucate il muro di silenzio
che circonda oggi questa vicenda, dopo che tutti i giornali hanno per
mesi parlato delle atrocità e della violenza dei contadini
(http://www.movimientocampesinodelaguan.blogspot.it/2012/01/campana-inmediata-liberacion-de-chavelo.html),
e a portare solidarietà, fondi, messaggi e visite in carcere.
E nell’attesa che il Secondo Grado della Corte di Giustizia emetta un
nuovo verdetto sulle sorti di Chavelo, Guadalupe Carney guarda con
complicità e apprensione a quello che succede a poche decine di km,
nel Bajo Aguan, dove polizia e terratenenti hanno unito le forze
contro le organizzazioni contadine che al MCA si ispirano.

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