Il treno parte in orario dalla stazione di Larìssa e le poche persone che salgono hanno con sé bagagli e valigie che nascondono doni da scambiare attorno ad un tavolo di famiglia.
Sono le 7.18, è l’ultimo giorno dell’anno e siamo dirette a Lemòs, piccolo villaggio di circa cento persone riposto nei pressi del Lago di Prespa, ed è proprio il lago l’elemento naturale che segna i confini tra Grecia, Albania e Macedonia.
Un territorio lontano da Atene, che con i suoi cinque milioni di abitanti riempie le strade di contrasti difficilmente riscontrabili all’interno di un paesino di montagna.
Dieci ore di viaggio per arrivare a Flòrina e poi autostop per una quarantina di chilometri; un allontanamento progressivo dalla città e dalle luminarie di Natale in compagnia di tre persone differenti che sto imparando a conoscere.
L’alba arriva lentamente ma senza esitazione e dal finestrino il paesaggio prende forma: ad edifici, palazzi e fabbriche di periferia si susseguono velocemente campi, accenni di bosco e distese pianure. Dopo ore di viaggio improvvisamente il mare ad indicare che ci stiamo avvicinando alla costa est per l’ultima volta. Proseguiremo poi verso l’interno finché il lago lo consentirà.
Il silenzio del risveglio è interrotto solo da una piccola banda di gitani: un paio di uomini con altrettanti bambini si aggirano per il treno cantando un gingol natalizio accompagnati da tamburo e triangolo. Ricordano così ai viaggiatori addormentati il rito natalizio che accomuna tutti i ragazzi di questa nazione.
Arriviamo a Flòrina all’imbrunire e la città è sufficientemente anonima per non far addormentare il desiderio di lasciarsela alle spalle. Non abbiamo molto tempo prima che faccia buio e l’autostop è l’unica soluzione per arrivare a destinazione. Dopo un’ora di attesa in cui manteniamo alto l’umore stuzzicando salatini e cantando vecchie canzoni, un giovane ragazzo non si lascia di certo sfuggire la possibilità di caricare quattro giovani straniere.
“I’m going to Castoria, next Lemòs.
I’ll work there tomorrow.
I’m a singer, in the churc.
Is a good job, 500 euro every time.”
Guida sicuro, lasciando che la macchina sbandi lievemente soltanto quando incontriamo una chiesa ortodossa. Premuroso e gentile, a tratti esprime un nazionalismo a me sconosciuto.
Arrivati al bivio per Castoria decide di accompagnarci fino alla piazza principale di Lemòs; lo invitiamo ad unirsi a noi per la serata ma lo salutiamo quasi sicure di non lo incontreremo mai più.
L’aria è di montagna, leggera e presente.
Entriamo in una delle tre taverne ed ordiniamo un rakomelo per riscaldarci e per festeggiare il nostro arrivo. Due coppie sono sedute di fronte al nostro tavolo: bicchieri sporchi di frappè e cappuccino. La stufa scalda l’ambiente rendendo le guance rosse rosse.
L’arrivo di Maria ci regala il suo sorriso. Terminiamo da bere ed andiamo a casa perché ad aspettarci ci sono una ragazza turca, una lettone ed uno spagnolo.
La fine dell’anno non si fa tardare, e l’ambiente della taverna con i suoi profumi di cibo e raki rende intimi gli ultimi momenti di quest’anno che per me prosegue senza interruzione e scadenze.
Dolci coperte di lana accompagnano il mio sonno ed il mio risveglio.
Ogni mattina è una piacevole scommessa: ci sarà o no l’acqua calda?
Le variabili che possono influire sono molteplici e l’unica costante che si ha è quella di dover comunque caricare di legna la stufa per portare la temperatura ad un certo livello.
“Ma non avete una carriola per portare la legna dal deposito fin dentro?”
Le porte della casa sono di un legno spesso, marrone scuro, forti. Lasciandosele alle spalle si ha la sensazione di entrare in una stanza segreta.
Il ruscello che scorre a qualche metro di distanza inganna l’udito facendomi credere che fuori piova ma al risveglio, stesa ancora sul letto, guardando fuori dalla finestra, intravedo il cielo azzurro e mi rendo conto dell’illusione.
L’ampia cucina si allaga la mattina del primo gennaio per una disattenzione provocata da una buona intenzione: risvegliamo Maria dopo poche ore di sonno ed iniziamo a strizzare stracci bagnati nel cortile.
Due biciclette dalle ruote troppo sgonfie sono appoggiate al muro esterno.
Lì di fianco, una notte, al rientro dai festeggiamenti per Agios Vassillis, accenderemo un fuoco.
Imparo presto che da queste parti l’onomastico è quasi più importante del compleanno.
Il rituale si manifesta uguale e diverso negli anni: il festeggiato, in compagnia di moglie e figli, aspetta solenne nella propria casa che parenti ed amici vengano a fargli visita. Sul tavolo si ricambiano pietanze e bevande senza che il piatto di qualcuno resti vuoto. Il vino rosato ed il cipuro “made at home” scorrono veloci giù per la gola come le parole. La stessa sensazione di caldo provocata dalla stufa a legno invade lentamente i corpi fintanto che, bisognosi di aria fresca, rientriamo a casa sul retro di una jeep.
Tre giorni trascorrono rapidi.
Riparto per Atene consapevole che sarà soprattutto il sole caldo del mattino e l’apparente immobilità del lago e del villaggio ad incrementare la mia voglia di tornare.