#Grecia – 17/01/13 Muri parlanti

La prima volta che me ne accorsi fu in metropolitana, a cavallo tra natale e capodanno. Ricordo che rimasi colpita non tanto dalla scritta quanto dal fatto che fosse all’interno della metro: costruita da un ente privato in occasione dei giochi olimpici, la metropolitana di Atene non lascia troppo spazio alle buone abitudini: vietato mangiare, vietato bere, vietato colorare i muri.
Resta però possibile portare la bicicletta 24 ore su 24 e non pagare il biglietto.
Mi trovavo alla stazione di Monastiraki in attesa di recarmi a casa ed improvvisamente, sulla destra, proprio sul muro che accompagna il viaggiatore al piano inferiore, la vernice nera di una scritta dai confini sbiaditi attira la mia attenzione: KATO TA XERA SAS, APO TI VILLA AMALIA’S.
Resto in silenzio cercando di capire, ma l’unica parola che mi manca è proprio quella necessaria!
Portandomi a casa un po’ d’insoddisfazione scendo anch’io le scale e mi mescolo tra la folla.

La seconda volta che me ne accorsi non fu in metropolitana e a dire il vero non c’è un altro luogo specifico da raccontare, perchè il ricordo è quello di un lento e progressivo aumento delle parole “Villa Amaliàs” sui muri della città. Ad Atene non manca di certo l’arte di strada e ci sono interi quartieri caratterizzati da questo tipo di comunicazione, però ciò che di particolare la vicenda di Villa Amaliàs ha per me, risiede nel fatto di essermi resa conto della sua centralità perchè, a partire da un certo momento, cabine telefoniche, saracinesche, porte, cartelloni pubblicitari, fermate del tram, muri e vetrine sono state riempite di stencil e di scritte.

KATO TA XERIA APO TIS KATALIPSEIS!

VILLA AMALIAS KATALIPSEI GIA PANDA!

KATALIPSEIS PANTOY!

H VILLA AMALIAS KATALIPSEI TA MEINEI!

KATALIPSEI STIS BILES TON AFENTIKON!

10, 100, 1000 KATALIPSEIS!

Un’onda comunicativa difficile da ignorare.

Ricordai allora la telefonata che Michela ricevette a metà dicembre.

“Stanno sgomberando Villa Amaliàs. Io vado!”

Io quella volta non la seguii e lo rimpiango tutt’ora. Fu come quando nel Gennaio 2009 sgomberarono il centro sociale COX 18 nel quartiere ticinese a Milano: un’imponente manifestazione seguì lo sgombero ed io, a causa delle stampelle, rimasi a casa.
Personalmente non ritengo ci siano spazi più o meno significativi; credo però che ci siano luoghi da difendere in quanto simboli, monumenti collettivi, “pezzi di storia della ribellione”.
Villa Amaliàs è uno spazio occupato ventidue anni fa: vent’anni di sperimentazione e realizzazione di un pensiero differente capace di incrinare i meccanismi di controllo e di riproduzione del potere.
Rappresenta quindi qualcosa di grande che la repressione, in maniera beffarda e subdola, vuole nascondere ed infangare.
Il luogo in cui “facevano le molotov” ed in cui si “vendeva la droga”. Queste le banali motivazioni rilasciate ai giornali e passate dalla televisione per bocca del ministro Nikos Dendias.
La prova? Nessuna! Anche perchè l’unico materiale infiammabile ritrovato al suo interno sono stati 250 grammi di petrolio vicino ad una stufa…

Come sottolinea bene un articolo letto recentemente, lo sgombero della più vecchia occupazione di Atene è avvenuto perchè il governo tripartito lo vuole utilizzare come punto simbolico della sua trasformazione verso l’estrema destra. Questo atto è un segnale per il pubblico di estrema destra e una prova chiara della volontà politica del governo di adottare l’agenda politica di Alba Dorata, infastiditi dalla forte presenza antifascista nel quartiere.
Un fascismo reale e visibile nei graffi dei migranti.

Il 20 Dicembre 2012 Villa Amaliàs viene sgomberata.
Il 9 Gennaio viene rioccupata ed immediatamente risgomberata. Le 93 persone che si trovano al suo interno arrestate.
Il 12 Gennaio una manifestazione di circa 2.000 persone percorre l’infinita via 28 Ottobre ed arriva fin sotto al Tribunale. Entro la fine della giornata i ragazzi arrestati sono tutti rilasciati.

Stavolta è Michela a non esserci. Sola in mezzo alla folla canticchio gli slogan sottovoce: ancora  non posso urlare. Raccolgo i volantini che usanza vuole vengano lanciati per aria come si fa con i fiori nelle bouzoukerie.
I poliziotti schierati ai bordi del corteo ci ricordano che non siamo mai soli.
Aspettandomi uno scoppio da un momento all’altro continuo a camminare fino al Tribunale guardandomi attorno con attenzione, cercando di capire le intenzioni di chi ho di fianco e fidandomi di chi è qui come me. Devo farlo, altrimenti in casi come questi in cui la tensione fa vibrare i corpi della folla, la paura può prende il sopravvento facendomi desiderare di essere altrove.
Incontro un amico che mi stava cercando.
Ritorno a casa che è ormai buio e dopo aver pagato tre euro per un cappuccino.
Qualche giorno dopo una ragazza mi ringrazierà “a nome di tutta la Grecia” per aver partecipato alla manifestazione di Sabato; credo che se entrambe avessimo parlato in greco mi avrebbe detto qualcosa di diverso e meno imponente.
Per il momento ringrazio timidamente accennando un sorriso.





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