Ermou è una lunga via che si lascia Piazza Syntagma alle spalle per ridiscendere verso le antiche ciminiere della ex centrale energetica di Atene. Nel 1857, quello che è oggi un museo industriale ed un luogo in cui poter rivivere parte dell’atmosfera che si respirava attraverso vecchie fotografie appese ai muri e forni ormai in disuso, questa enorme fabbrica riforniva di gas l’intera città. Lucidi schermi trasmettono spot televisivi dell’epoca mostrando casalinghe emozionate nell’illustrare i molteplici usi del gas nella vita quotidiana, suggerendo così l’idea di un progresso concreto ed irrefrenabile.
Un simile desiderio di modernità lo si ritrova oggi nelle vetrine dei negozi che con il passare del tempo hanno invaso la parte iniziale di Ermou proponendo negozi alla moda, saldi, luci al neon, bodyguard di colore muniti di radiomicrofono, musica ad alto volume ed aria condizionata da regolare a seconda delle stagioni.
La San Babila ateniese è un susseguirsi di negozi rassicuranti che fanno sentire il turista a casa propria ed il greco appartenente ad una vera e propria capitale europea. Mani che stringono sacchetti di plastica, passi rapidi e decisi, soste improvvise e momentane non appena si scorge un vestito che chissà, magari, “potrebbe tornarmi utile in un’occasione ancora sconosciuta ma a cui non posso arrivare impreparata!”
La chiesa bizantina di Kapnikareas indica che si è a metà della discesa. Un carretto a due ruote, che ricorda quelli dei primi gelatai che attraversavano i paesi regalando ai palati di vecchi e bambini freschezza e dolcezza, è in sosta davanti all’edificio: il fumo che esce da un bollitore di rame ed i bicchieri di carta impilati dietro alla vetrina indicano che è ancora possibile rilassarsi sorseggiando del chai. Il muretto di pietra che circonda la chiesa è spesso gremito di gente: i musicisti, sempre diversi ma sempre presenti, accompagnano questi momenti riempiendo i bicchieri di note.
Piazza Monastiraki si apre all’improvviso sulla sinistra: l’odore dei suvlaki e delle patatine si mescola al profumo dei fiori che gipsy rumeni vendono ai turisti seduti ai tavoli dei ristoranti che riempiono la via pedonale che conduce a Thissio. Bar, tacchi a spillo, giacche nere, tracce di rossetto sui bicchieri, profumi insistenti che invadono gli spazi chiusi, sigarette nei portaceneri. Indifferente a tutto ciò, Ermou continua la sua discesa trasformando i negozi commerciali di vestiti e gioielli in polverosi luoghi in cui è possibile trovare vecchie vhs, elettrodomestici anni cinquanta, libri dalle copertine logorate, forchette di argento e ruggine, vestiti fuori moda coi buchi, cavi elettrici di ogni tipo, bottoni, dipinti e mobili in legno grezzo graffiati dai tarli. Agli inservienti di Zara e H&M si contrappongono vecchi greci un po’ diffidenti che riconoscono con uno sguardo chi hanno davanti a sé: un turista, un passante, un collezionista affidabile o una trentenne curiosa alla ricerca di vecchie fotografie di famiglia.
Appena prima che la strada svolti verso sinistra terminando così di fronte all’ex centrale del gas, un piazzale ospita le lenzuola dei gitani che in questo luogo vendono e scambiano merci di ogni tipo. Prezzi competitivi ed oggetti stravaganti lasciano indifferente solo chi è già sicuro che qui non troverà niente di utile per sé o per la propria casa. Ragazzini energici e bambine con un filo di trucco sugli occhi si muovono sicuri tra le lenzuola prendendo per mano i passanti ed urlando frasi fatte imparate ormai tempo fa. Restando seduti ad osservare questo loro personale modo di comportarsi, si rimane colpiti dalla facilità con cui ignorano ogni consuetudine del vendere ricercando il divertimento e la sfida ad ogni occasione. Ogni venerdì e sabato, dal calar della sera fino alle sette della mattina, le stesse lenzuola risalgono lentamente l’ultima parte di Ermou per posizionarsi appena prima dei negozi di antiquariato ormai chiusi. La notte ateniese ospita così le merci di rumeni ed albanesi intenti nell’arte del riciclo: per una manciata di euro ed una buona contrattazione si possono trovare un’infinità di oggetti provenienti dai cassonetti di tutta la città.
-“ Parlo italiano perché sono stato sette anni a Roma, anche se ho vissuto a Napoli, a Milano ed in Sicilia; ho lavorato come muratore e quando mi sono rotto una gamba non ho potuto fare altro che ritornare in Romania. Il problema è chi lì non c’è lavoro, e quindi sono andato via di nuovo arrivando così in Grecia. Faccio questo lavoro da tre anni ma non è semplice: la gente non è ricca come in Italia e non butta via quasi più niente! Per guadagnare 25-30 euro devi cercare roba per tre o quattro giorni muovendoti fuori e dentro la città. Una volta era diverso…”
-“Ma anche voi usate i carrelli per la spesa per accumulare le cose?”
-“Noi? No! Noi abbiamo la macchina. Quelli che vedi per la strada con i carrelli dei supermercati non sono come noi, sono pakistani, bengalesi. Loro si occupano soprattutto di trovare cartone, metallo, ferro e plastica. Come puoi vedere noi vendiamo merce di qualità!”
-“Ma c’è una suddivisione dei quartieri o ognuno può andare dove vuole liberamente?”
-“La città è di tutti, no mafia qui. A Napoli una volta invece mi è capitato di avere dei problemi con dei ragazzi che non volevano che io vendessi la mia roba. Mi hanno picchiato e non ci sono più tornato. Ad Atene è diverso, ma noi a volte andiamo pure fuori perchè nei paesini vicini è possibile trovare cose interessanti. A Tessaloniki no, però, perché la polizia è cattiva…non che qui sia buona. Non puoi stare mai fermo. Non devi far insospettire nessuno, devi sempre fare qualcosa. Camminare, guardare altrove, cambiare direzione…altrimenti ti prendono e ti sbattono dentro senza motivo. Mica come in Italia! Lì non ho mai avuto problemi con la polizia, bastava mostrargli il documento e mi lasciavano stare.”
-“Io vorrei solo andare a Roma, trovarmi una donna e sposarmi. Mi piace l’Italia ma me ne sono dovuto andare perché la vita è troppo cara. Per un affitto si spende più di 500 euro, mentre qui io e miei due amici paghiamo 250 euro in tutto. Ora sono qui, ma penso spesso di andarmene.”
-“Io vorrei trovare un lavoro e fermarmi ad Atene un altro anno. Non desidero tornare in Italia adesso anche se rimane casa mia…”
-“Non è semplice qui…e sai anche perché? Perché se vai all’ufficio non ti ascoltano! La priorità è sempre ai greci, e se sei uno straniero non ti dà retta nessuno. Non che questa sia una società razzista, ma un po’ lo sta diventando.”
-“Io ci sono stata in Romania, tre anni fa. E ti dirò che in Italia c’è ancora molta diffidenza verso i rumeni. Tutti mi dicevano di stare attenta, di non andare a Bucarest, di non dare confidenza…”
-“E’ come quando hai una cassa di patate: basta che una sia marcia per pensare che tutte siano così.”
Silenzio. Il freddo delle tre di notte inizia a farsi sentire.
-“Sei stata molto qui, forse è ora che tu vada” -mi dice usando un tono da fratello maggiore- “Ma non ti dimenticare delle fotografie…”
-“Certo che no! A quanto me le dai?”
-“Hai detto tre euro, no? Dalli pure a lui. E’ il capo, qui. Non parla né greco né italiano, è arrivato solo tre settimane fa.”
Il più vecchio dei tre prende i soldi senza controllare e li infila in una tasca. Appena metto via le foto un odore di cantina invade il mio zaino. Riprendendo la bicicletta scorgo il sorriso di una zingara a cui hanno appena portato del caffè caldo. Un signore sdraiato per terra si copre con i vestiti che non ha venduto. Ripercorro Ermou fino a Piazza Syntagma: tre guardie accompagnate da un militare sorvegliano il Parlamento scandendo i passi come la tradizione impone.