Sullo sfratto di venerdì scorso

Venerdì 20 abbiamo assistito ad una scena oramai di preoccupante routine a Monza.
Mohamed a causa della crisi viene licenziato e non riesce più a pagare l’affitto. Il datore di lavoro è “casualmente” anche il padrone di casa, questo però non lo impietosisce, anzi chiede immediatamente lo sfratto.

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Puntualmente la forza pubblica si schiera a difesa della rendita immobiliare e venerdì esegue lo sfratto costringendo Mohamed ad uscire di casa con la moglie e i tre figli piccoli.
La soluzione proposta dagli assistenti sociali è di mandare la mamma e i tre bambini in un albergo (a spese del Comune), mentre a Mohamed viene detto di arrangiarsi e di provare a chiedere ospitalità al dormitorio di via Raiberti: sembra di tornare indietro di 3 anni e si intravedono similitudini con l’approccio della vecchia amministrazione leghista all’emergenza abitativa.

Di fronte all’accaduto, insieme a qualche famiglia del Comitato Monzese per il Diritto alla Casa, agli studenti del Compost e ad alcuni esponenti di Rifondazione Comunista decidiamo di entrare in Comune per chiedere spiegazioni all’assessorato competente.

La prima cosa che chiediamo è una soluzione dignitosa che non divida il nucleo famigliare appena sfrattato. La famiglia è venticinquesima in graduatoria, ci sono decine e decine di appartamenti comunali vuoti e ci sembra una follia che l’amministrazione comunale preferisca spendere 45
euro al giorno per pagare la stanza d’albergo piuttosto che assegnare una casa a chi ne ha diritto.

La risposta è che la famiglia negli scorsi anni ha già ricevuto aiuti economici dai servizi sociali (aiuti a cui aveva diritto) e che quindi il comune ora non avrebbe fatto altro. Come se i diritti si potessero sommare o sottrarre a piacimento.

Il confronto con Assessore e tecnici presenti è proseguito serrato, abbracciando tutti i temi proposti in questi anni dal Comitato e dalla FOA Boccaccio, dalla moratoria sugli sfratti alle possibilità di introdurre pratiche di requisizione dello sfitto privato, fino alla denuncia dell’assurdità del continuo ricorso ai residence come “alloggi di emergenza”.

In pratica questa amministrazione in due anni ha speso quasi un milione di euro di fondi propri buttati in residence e alberghi privati a fronte di 250 mila euro di soldi impegnati per la ristrutturazione di qualche decina di appartamenti in suo possesso, un vero e proprio spreco di denaro pubblico e un grosso affare per chi specula sull’emergenza abitativa.

Abbiamo sentito criticare dall’Assessore anche il progetto dell’autorecupero, altra proposta sul tavolo del confronto, accusandoci di non aver a disposizione i mezzi economici e legali per ristrutturare uno stabile.
Se solamente avessero letto il dossier AUTORECUPERIAMO MONZA avrebbero capito che il ruolo per cui si propone il Comitato non è nè quello di trovare una scusa per costruire qualche palazzina, nè quello di lucrare sull’emergenza abitativa costruendo alloggi in social housing (ogni riferimento a Giambelli e a Monza 2000 è puramente casuale).

Il Comitato si propone di auto organizzare persone con un stesso problema attraverso una pratica attiva che permette di trovare soluzioni abitative in tempi rapidi, con costi contenuti e soprattutto permette di uscire da una mentalità perdente che interpreta l’abitazione come un privilegio concesso a pochi e non come un diritto fondamentale.

Pensiamo quindi che partendo dalla situazione particolare di Mohamed e della sua famiglia si possa valutare se esiste veramente la volontà di affrontare diversamente l’emergenza abitativa che oramai da tempo colpisce Monza e tutta Italia.
Quelle cento è più case comunali sfitte sono una vergogna rispetto a chi da anni aspetta in graduatoria, devono essere assegnate quanto prima accelerando i lavoro magari anche con l’aiuto dei futuri inquilini.

Dopo le parole vogliamo i fatti!

FOA BOCCACCIO 003 e Comitato monzese per il diritto alla casa

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