Sullo sciopero sociale di venerdì

Oggi, 14 novembre, svariate decine di migliaia fra studenti, precari, migranti, disoccupati e lavoratori di 30 città italiane sono scesi in piazza al grido di “sciopero sociale”. Un esperimento di conflitto vincente che è stato messo in atto da tutta quella parte di Paese che produce la ricchezza, ma non ne gode i frutti. Oggi il paese dei “non-garantiti” ha fatto sentire la sua voce, rivendicando un futuro degno di essere vissuto, contro la gabbia della precarietà e contro le logiche opprimenti della crisi economica.

In particolare, Milano è stata investita da due cortei, quello del multiforme universo precario e quello dei lavoratori metalmeccanici. Nonostante l’intrinseca diversità delle due piazze, numerosi sono stati i punti di contatto fra le rivendicazioni provenienti dai due cortei. Da una parte l’opposizione ad EXPO, alla logica del free-job, al jobs-act e alla Buona Scuola di Renzi, unite con la rivendicazione di un reddito di base per tutti, del diritto all’accesso ai saperi e alle conoscenze, di una scuola di qualità in cui gli studenti ne siano parte attiva e determinante. Dall’altra l’opposizione allo smantellamento sistematico del welfare e dei diritti per cui un enorme numero di lavoratori e lavoratrici una volta considerati garantiti, perdono all’improvviso ogni tutela.
Questi punti di contatto hanno fatto evidentemente paura alle forze dell’ordine e a chi le governa, dal momento che la gestione della piazza da parte loro è stata provocatoria e violenta nei confronti del corteo degli studenti e dei precari. Cariche e lacrimogeni sono stati usati per impedire che il corteo raggiungesse piazza Fontana (adiacente alla piazza dei metalmeccanici), la meta autorizzata precedentemente dalla Questura stessa.
Nonostante le cariche e i lacrimogeni, nessuno si è fatto intimidire.
Non possiamo accettare una riforma della scuola che punta al solo ingresso dei privati all’interno degli istituti e all’esclusione della parte studentesca dall’istituzioni scolastiche.
Non possiamo accettare una riforma del lavoro che ci vuole precari per tutta la vita istituendo la nuova forma del Jobs Act e togliendo l’articolo 18.
Non possiamo accettare grandi opere come EXPO che mantengono il solo obbiettivo di far guadagnare grandi capitali privati sulle spese dell’erario pubblico e sullo sfruttamento dei lavoratori rinominato con il sostantivo ”volontariato”.
A chi rivendica un presente e un futuro alternativo a quello che gli è imposto, il governo Renzi risponde con i manganelli, a Milano e in molte altre città. Nonostante ciò, non arretriamo di un passo, dallo sciopero sociale di oggi ripartiamo con più forza e determinazione, certi che la trasversalità delle rivendicazioni e l’eterogeneità della piazza di oggi siano il presupposto vincente per la costruzione delle prossime scadenze di lotta.

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