Occupazione e Autorecupero

Sabato 26 febbraio 2022 è stato presentato dal Coordinamento dei Comitati e delle Associazioni di Monza il LIBRO BIANCO sulla città 3.0, una panoramica articolata e complessa sulle vertenze urbanistiche aperte in città. Tra i numerosi contributi che rendono questo strumento un’approfondita analisi delle trasformazioni in atto nel tessuto cittadino vi è anche il nostro, con la denuncia delle spregiudicate manovre speculative del CAI che hanno portato allo sgombero di via Rosmini e la successiva sperimentazione della pratica dell’autorecupero nella nuova occupazione di via Timavo.

Buona lettura!

OCCUPAZIONE E AUTORECUPERO.

Buone pratiche di riappropriazione collettiva contro lo sfrenato affarismo dei signori del mattone.

 

A cura del collettivo della FOA Boccaccio 003

 

1. Vent’anni di storia

Il collettivo della FOA Boccaccio nasce nel 2003 a Monza con l’occupazione dell’ex tintoria De Simoni in via Boccaccio 6, rispondendo all’esigenza della popolazione giovanile di trovare uno spazio in cui costruire percorsi politici, culturali, aggregativi dal basso. In vent’anni la matrice autogestita e autorganizzata del progetto è rimasta invariata: in un lasso di tempo così ampio sono state innumerevoli le iniziative e i progetti concreti attraverso i quali abbiamo declinato la nostra visione critica del mondo che ci circonda. Fin da subito abbiamo praticato l’occupazione di aree abbandonate come azione diretta per trovare spazio per i nostri progetti, nel tentativo di sottrarle a logiche di speculazione diffusissime in città. In questo percorso ventennale abbiamo imparato a conoscere a fondo le contraddizioni della città, malata di un affarismo spregiudicato trasversale agli schieramenti politici e su queste contraddizioni abbiamo provato a incidere, affermando costantemente un modello di società basato sulla solidarietà e il rifiuto del profitto come perno della società. Nel corso del tempo repressione e logiche speculative hanno innescato svariati sgomberi, a cui abbiamo sempre saputo rispondere con nuove occupazioni, forti di una crescente partecipazione alle nostre istanze, che negli anni si è tradotta anche in un significativo ricambio generazionale. A oggi si contano oltre dieci aree che hanno ospitato le nostre attività, quasi tutte rimaste abbandonate dopo gli sgomberi: via Boccaccio 6, ex cinema Apollo di via Lecco, via Arnaldo da Brescia, via Aspromonte… Il 13 luglio 2021, dopo dieci anni di stabilità in via Rosmini 11 nell’ex centro sportivo AC Verga, abbiamo subito l’ennesimo sgombero. La sera stessa, un corteo di 500 persone ha occupato l’ex deposito dei bus di via Timavo 12, che attualmente ospita le nostre attività. La consapevolezza che l’area di via Rosmini fosse all’interno di un progetto speculativo simile a molti altri che hanno devastato il territorio monzese ci ha indotto nei mesi antecedenti allo sgombero a prendere parola con continuità sulle questioni urbanistiche, iscrivendo la vicenda dell’attacco allo spazio sociale in un più ampio quadro di trasformazioni urbanistiche tossiche per gli abitanti della città. Solo nell’ultimo anno sono state decine le iniziative organizzate sul tema, sia di carattere informativo (si ricorda la realizzazione della videoinchiesta “ABITARE A MONZA 2. Appunti sulla turbourbanistica targata Allevi-Sassoli“) che vere mobilitazioni in città (due critical mass), spesso in collaborazione con i comitati cittadini. È stata redatta la mappa delle “ferite aperte” in città, una efficace panoramica sui progetti di devastazione ambientale presenti e futuri. E poi assemblee pubbliche, incontri di approfondimento e autoformazione, presentazioni di libri fino ad arrivare al ciclo di appuntamenti di LABYRINTHUS, accompagnato da una massiccia campagna di comunicazione sui muri della città.

2. Sgombero di via Rosmini 11, ovvero l’infame mossa del C.A.I. di Monza.

Lo sgombero di via Rosmini costituisce un esempio lampante di come il nostro territorio venga governato esclusivamente in funzione di logiche di profitto immobiliare: la vicenda merita un excursus, per far luce sui lati meno conosciuti del progetto. Formalmente l’area è stata sgomberata per fare spazio alla “Casa delle Montagna” del CAI (Club Alpino Italiano) di Monza, che per voce del presidente Mario Cossa si è sempre assunto la paternità dell’operazione, ma ormai è cosa nota che il 50% dell’area è stato acquisito dalla MOSS SRL, piccola impresa operante nella ristorazione e proprietaria dell’omonimo locale alla moda nel centro di Monza. Metà dei 200.000 euro (cifra irrisoria per i 10.000 metri quadri dell’area) versati nelle casse della FIGC (precedente proprietaria dell’area) per l’acquisizione dell’area sono stati quindi investiti da questo locale, che si autodefinisce “un’oasi verde, Fresh n’ Tasty!, fresca ed elegante”. Cosa centra un locale patinato, tendenzialmente frequentato dalla Monza bene, con il Club Alpino Italiano? Quali interessi comuni muovono la costruzione di una cordata così inedita? La risposta è semplice: la regia dell’operazione ha in verità una sola firma ed è quella di un abile imprenditore locale, strettamente legato alla proprietà del MOSS, progettista e costruttore edile e, nel tempo libero, appassionato di montagna e storico associato del CAI. Insomma, al netto del ruolo di mera rappresentanza ricoperto dal presidente del Club Alpino, c’è un uomo solo al comando dell’operazione “Casa della Montagna”, capace di imbastire un bel progettone dai contorni aggregativi/sociali/sportivi da spendere sotto l’egida del CAI, ma in fin dei conti, straordinariamente abile nel tirare le fila economiche di tutto quanto, pianificando un ricco rientro degli investimenti, appaltandosi i lavori di demolizione e costruzione, nonché la gestione famigliare di un pezzo significativo del futuro baraccone, ossia la ristorazione. Ma non solo, se si contestualizza l’operazione nel più ampio quadro di interventi urbanistici previsti per le aree circostanti, tra i quali balza all’occhio la costruzione di 17 (!) palazzine di lusso a poche centinaia di metri dal Boccaccio (il futuro quartiere Arborea Living), viene il dubbio che l’abile imprenditore, annusando l’affarone, abbia scelto di minare l’esistenza del centro sociale, proprio attirato dal potenziale bacino di utenza del nuovo quartiere in di Monza. Occorre inoltre ricordare che tutto il progetto “Casa della Montagna” avrebbe dovuto realizzarsi lontano da via Rosmini ed è stata proprio la Giunta Allevi a smentire la narrazione del CAI circa l’impossibilità di attuare il progetto altrove. Il posto c’era ed è proprio quello su cui il CAI fino al 2019 aveva dichiarato di voler intervenire: l’area dismessa di via della Lovera è inserita da novembre 2020 nel piano di alienazioni e valorizzazioni del Comune, a sottolinearne la sua completa e attuale disponibilità, per un recupero “mediante progetti di utilità pubblica/sociale/sportive”. Ma probabilmente non sono questi ultimi che interessano veramente a chi ha disegnato il nuovo progetto.

Anzi, considerando che non esiste a oggi nessuna evidenza relativa al futuro progetto, non ci sorprenderemmo che, nel prendere forma, i futuri plessi avranno destinazioni molto diverse rispetto a quelle che il CAI ha venduto alla stampa nel maldestro tentativo di giustificare il proprio infame gesto. Per questo motivo abbiamo costituito un osservatorio permanente sul “cantiere” di via Rosmini, con l’obiettivo di continuare a monitorare e denunciare il processo di speculazione in atto.

3. Nuova occupazione in via Timavo 12, ovvero come provare a bloccare l’ennesima colata di cemento nel quartiere.

Da luglio la nuova occupazione della FOA Boccaccio in via Timavo 12 si colloca proprio all’interno di una delle tantissime aree dismesse su cui il PGT prevede l’edificazione di palazzine: anche in questa circostanza ci troviamo a fare i conti con una situazione emblematica. Cessate le attività produttive, la proprietà ha lasciato volontariamente gli stabili abbandonati per decenni attendendo il favore tanto atteso dalla politica locale, ossia un cambio di destinazione d’uso dell’area: il PGT prevede oggi infatti un futuro quasi totalmente residenziale che spiana la strada all’ennesima speculazione edilizia, ovvero costruire palazzi (tra l’altro a due passi dal Lambro) per incrementare la rendita dei privati proprietari e chiamarla “riqualificazione”! Insomma in questa area, come in decine altre disseminate a Monza, si assiste a ipotesi edificatorie tutte uguali, figlie di una visione di città che la Giunta Allevi intende affermare a colpi di piani attuativi, delibere e, infine, varianti al PGT vigente. Centinaia di giovani stanno in queste settimane attraversando questo spazio, immaginando e sperimentandone una destinazione completamente diversa, fatta di autogestione, libera aggregazione, interventi di autorecupero. Il processo di autorecupero dello stabile intende proporsi come modello di intervento sullo spazio abbandonato in opposizione alle mire speculative della proprietà. Ripensare la destinazione d’uso di questo spazio, come dei molti altri sui quali grava la minaccia del cemento e della pioggia di palazzine, costituisce una forma di resistenza di fronte al modello di città proposto dalla Giunta Allevi. Insomma tutti/e ci sporchiamo le mani, ma nessuno/a lo fa per i soldi, bensì per provare a ridisegnare un angolo di città su principi ecologici e solidali. Occupare una di queste aree significa dimostrare che esse dovrebbero tornare alla comunità: i “legittimi proprietari” hanno infatti già ampiamente estratto profitto da questi luoghi nei decenni in cui costituivano insediamenti produttivi. Per quale motivo costoro si dovrebbero arricchire ulteriormente attraverso la concessione edificatoria? Oltre a porci questa domanda vogliamo sfatare un altro mito: da decenni la classe politica locale ha dipinto imprenditori edili, archistar e grandi immobiliari come presunti artefici del benessere della popolazione. Ribaltiamo questa storia e cominciamo a dire con chiarezza che l’operato di questa gente nuoce oggi gravemente alla salute della città di Monza. In una città con crescita demografica inesistente da quarant’anni e un patrimonio di migliaia di unità abitative sfitte, è evidente che oggi costruire nuove palazzine non contribuisce in nessun modo al benessere della comunità monzese, né risponde a bisogni reali del territorio, né tantomeno può rappresentare il concetto di “rigenerazione urbana”. Viceversa genera interventi profondamente nocivi sia da un punto di vista ambientale che sociale, funzionali esclusivamente a tutelare i profitti dei costruttori e dei privati proprietari. È dunque importante prendere coscienza che dobbiamo attrezzarci a contendere a questi signori ogni metro quadrato su cui grava la minaccia di speculazione. In via Timavo come in ogni altro angolo della città.

 

4. Conclusione

Con questo sintetico contributo trasmettiamo quindi la convinzione che l’opposizione alla città del cemento, alla città per ricchi, alla città basata sull’esclusione e sul controllo sociale passi dalla capacità di mettersi in gioco, costruendo percorsi reali di partecipazione nei processi collettivi, diffondendo informazione con linguaggi accessibili e forzando un sistema normativo codificato su misura per il profitto di pochi piuttosto a scapito del bene della collettività.

Occorre un radicale cambio di paradigma nell’immaginare la città del futuro, che in nessun modo può fare affidamento sugli ingannevoli concetti di rigenerazione urbana, transizione ecologica o smart city, etichette create ad arte per legittimare il profitto di chi da sempre gestisce la ricchezza.

Guardiamo invece con fiducia ai percorsi che nascono dal basso, alla capacità di individui, comitati e gruppi spontanei di operare con passione e intransigenza nella difesa degli angoli verdi, di quartieri in cui sia possibile coltivare un modello di abitare basato sulla coesione sociale, di spazi comuni in cui costruire quotidianamente relazioni solidali.

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