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Il 25 aprile 1945, ancora più del 2 giugno 1946, è senza dubbio una data fondante della Repubblica Italiana. Questa riflessione tuttavia non si rivolge alla totalità della cittadinanza italiana, ma ad una minoranza ben specifica: chi ha trovato nelle esperienze extraparlamentari la propria direttrice per il cambiamento, pertanto lasciamo al resto le diatribe istituzionali sulla “proprietà” legittima di questa data e partiamo da due considerazioni fondamentali per la discussione di questa provocazione:
1: Le soggettività politiche che hanno contribuito, pre e post 8 settembre 1943, prima alla resistenza e poi alla campagna di liberazione attraverso il CLN e non, avevano dichiaratamente posizioni ideologiche molto diverse e spesso antagoniste tra loro. Se c’è un NOI, è chiaro che facciamo riferimento a quelle che avevano aspirazioni cosiddette rivoluzionarie. In questo senso sono quelle che a seguito delle varie amnistie, dei vari compromessi e delle promesse tradite, sono state estromesse dal discorso istituzionale e hanno scelto la via conflittuale di cui ci rivendichiamo l’eredità.
2: Il 25 aprile 1945, sancita la fine formale del ventennio fascista e alle sue atrocità, è anche l’inizio del processo di pacificazione democratica che porterà alla repubblica. Ma NOI sappiamo bene che se il fascismo storico è terminato (come piace ricordare ai politicanti) e la sua facciata istituzionale e militare eliminata, molte figure chiave e leggi (soprattutto del codice penale) del vecchio regime sono state ricollocate e mantenute perché tornavano comodo per la gestione dell’ordine pubblico della neonata repubblica, che finita una guerra, era già entrata a piè pari in un’altra.
Ora, sono passati 77 anni da quel giorno che “non è una ricorrenza”, ma è evidente che nonostante i traguardi sociali e politici raggiunti dalla lotta degli anni successivi, la democrazia rappresentativa si è fatta culla di sentimenti e processi di cambiamento sociale che sono ben lontani dai concetti di giustizia, uguaglianza e libertà che ci appartengono e che anzi, assomigliano molto di più alla peggiore tradizione borghese e conservatrice di cui il fascismo sappiamo essersi fatto mano armata e regime.
Lasciando alla discussione faccia a faccia gli approfondimenti sul tema, per avvicinarci ci viene da porre alcune domande che bestemmiano il nostro santo natale laico:
– Si sa, la storia è scritta da chi vince, ma abbiamo davvero vinto NOI quel 25 aprile?
– Quanto ha senso continuare a bisticciare su chi ce l’ha più antifascista in un giorno che come sappiamo fa “di tutta l’erba un fascio”?
– Nella memoria l’esempio, potrebbe significare che dalla resistenza, alle bande armate, passando per le insurrezioni popolari, possiamo imparare metodi organizzativi alternativi alle mobilitazioni di massa?
– “Ora e sempre resistenza”: è davvero questa la vogliamo tenere o è possibile progettare, senza retorica, il completamento dei NOSTRI progetti di Liberazione?
– La progressiva rimozione della conflittualità nella partecipazione politica dal basso può essere risanata? Come Critica Università Della Strada, il nostro intento non è certo dare indicazioni prescrittive su come si risponde a queste provocazioni, ma è stimolare una riflessione attraverso i nostri progetti che possa permetterci collettivamente di superare l’impasse retorico e procedurale che sta incancrenendo il movimento – movimenti, ognuno con le proprie risposte. Quello che possiamo dire però è che 77 anni sono tanti e non li stiamo portando bene, perché se così non fosse, non sentiremmo il bisogno di parlarne.
Perquesto disertiamo il 25 aprile, per smettere di festeggiare e rimetterci al lavoro partendo non tanto dagli eventi simbolici, ma da come sono stati resi possibili nella difficoltà estrema.