#CeloLibre

ROMPERE IL RICATTO, LOTTARE UNITI, RIPRENDERSI LE NOSTRE VITE

Quando si parla di migranti non si tiene mai in considerazione il
contesto e le motivazioni per cui decidiamo di partire e imbarcarci alla
ricerca di un presente e futuro migliore. Che si scappi dalla guerra,
dalle condizioni di povertà o che si decida di cercare fortuna c’è
sempre il dolore per quelli che abbiamo lasciato e la paura per ciò che
non si conosce. Allo stesso modo ogni racconto è sempre superficiale e
non si dice niente di ciò che abbiamo dovuto fare per crearci
un’identità, per farci degli amici, per riuscire a mangiare, per
riuscire a dormire al caldo.

La sofferenza ci rende schiavi o ribelli, e dopo tanto subire ogni
briciola può sembrare un segnale divino di qualche messia in mezzo
all’inferno dell’indifferenza. Così tanti si abituano, decidono di
tacere e subire in silenzio, sacrificando la vita nel presente per
cercare di guadagnare la felicità domani, lontani da qui. Il problema
è che nulla rimane fermo, le persone cambiano e a volte il sogno si
trasforma in incubo, soprattutto quando ci rendiamo conto che il prezzo
da pagare per raggiungere la felicità è l’infelicità permanente.
Qui le cose cambiano. Si sceglie di dire basta, di ribellarsi, di andare
incontro a questo destino ingrato, per non subire più, perché nessun
altro uomo o donna possa essere discriminato o sfruttato semplicemente
perché non è italiano.

Per avere un pezzo di carta bisogna dimostrare tutta la vita allo stato
di essere bravi, di non aver perso il lavoro, e guarda caso siamo quelli
che fanno i lavori che nessun altro vuole fare. Quelli che vengono
pagati meno e che fanno arricchire i più furbi o i più ricchi.
Paghiamo contributi per noi, per i nostri figli e per i figli degli
altri, ma dobbiamo sempre essere grati, perché sembra che qualcun altro
ci stia facendo un favore, e chi sono questi? Ovviamente i soliti
politici che soffiano sul fuoco della povertà, arricchendosi anche col
nostro lavoro e usandoci come capro espiatorio, uno spauracchio da
agitare per distogliere l’attenzione e creare divisioni che servono ad
alimentare la loro forza.

Vivendo nell’insicurezza più totale e soggetti a uno sfruttamento
continuo le probabilità di ribellarsi sono tante. Per questo ci
ricattano: o la vita o i soldi. E quando non diamo i soldi si prendono
quel pezzo di carta che per noi vuol dire poter lavorare, poter
studiare, poter avere assistenza sanitaria, semplicemente poter esistere
e non essere un fantasma.

E questo pezzo di carta bisogna sudarlo nelle innumerevole file alle
questure e negli appuntamenti umilianti con degli uomini in divisa,
esposti alla loro prepotenza, in balìa di squallidi funzionari che
sfogano la propria esistenza miserevole sulla nostra pelle e possono
permettersi di giocare con le nostre vite.

Quando ci hanno truffato con la sanatoria, siamo scesi in strada,
occupato gru e torri, abbiamo preso le manganellate, le denunce e anche
l’espulsione, per aver osato.

Quando ci hanno rinchiuso nei CIE ( i lager della democrazia) siamo
stati noi a bruciare i materassi e le lenzuola , a distruggere e rendere
inagibile tutto perché altri essere umani non possano più soffrire e
non ci siano vite illegali, ci hanno incarcerato e ci hanno espulso.
Quanti migranti sono morti alle frontiere o nel mediterraneo, quanti
sogni infranti dagli stessi che bombardano o saccheggiano i nostri paesi
e ci chiudono le porte in faccia.

I padroni tremano all’idea di vederci uniti, compatti, senza paura a
combattere le loro porcherie, a ribellarci e prenderci quella dignità
che ogni giorno viene calpestata perché veniamo considerati soggetti di
serie B.

Infatti nelle fabbriche o nelle grandi industrie di logistica dove
spesso lavoriamo in condizioni quasi di schiavitù nel silenzio generale
tramite la solidarietà, l’unione e i picchetti siamo riusciti tante
volte a fare sentire la nostra voce, a strappare miglioramenti, a vedere
i nostri sfruttatori piegarsi alla forza che siamo riusciti ad
esprimere.

Nella lotta per la casa, occupando le palazzine e le case lasciate vuote
dagli speculatori o difendendo tutti assieme famiglie sotto sfratto
abbiamo risolto un bisogno e ci siamo accorti di aver trovato degli
amici, dei compagni. Abbiamo toccato con mano che la solidarietà di
oggi è mille volte migliore della solitudine e dell’angoscia di ieri.
E per tenere in piedi tutto questo lottiamo, rischiamo, ci esponiamo,
senza paura.

E ancora una volta quando ci vedono uniti e determinati cercano di
colpirci rendendoci difficile la vita. Così negli ultimi anni è stata
approvata una legge (l’articolo 5 del Piano Casa) che impedisce a quelli
che hanno scelto di occupare di avere la residenza lì dove vivono.
Così diventa ancora più difficile ottenere i documenti, iscrivere i
nostri figli a scuola. E’ sempre il solito ricatto, che sia la minaccia
arrogante di uno sbirro o le parole gelide di una legge la sostanza non
cambia: “O righi dritto o ti togliamo il permesso”

Come tanti migranti, ho deciso di stare in prima fila, di lottare per
me, la mia famiglia e per tutti quelli che subiscono l’arroganza del
potere. Ho scelto di non cadere nel ricatto e ora lo Stato mi presenta
il conto.

Per più di 6 anni ho vissuto senza documenti, perché questi documenti
lo Stato non me li voleva dare. Ma la libertà non si baratta né ci
viene regalata, questa come i diritti si conquistano a spinta o sono
solo briciole che possono toglierci nuovamente in ogni momento. Perché
la nostra libertà non vale più di quella degli altri, perché la lotta
è vita e non cambierei mai la mia scelta di vivere in mezzo ai
compagni, alla gente, di rischiare, osare.

Lo Stato mi attacca perché lottando contro le riforme che negli ultimi
anni hanno distrutto l’istruzione pubblica ho rotto insieme ai mie
compagni la pace sociale dentro la Statale di Milano, perchè ho preso
parte alla lotta No Tav per difendere un territorio in ostaggio di
imprenditori mafiosi e poliziotti armati fino ai denti, perchè ho
occupato e resistito agli sgomberi al fianco di tanti migranti che hanno
fatto la stessa scelta di non subire in silenzio. Questo per la Questura
si traduce in una “pericolosità sociale”. I migranti che non accettano
di arrendersi al ricatto rappresentano un pericolo per la società che
si arricchisce sul loro sfruttamento e sulla loro emarginazione.

Il 14 gennaio un tribunale sarà chiamato ad esprimersi rispetto al mio
permesso di soggiorno. Questa lettera è l’inizio di una mobilitazione
perché quel giorno saremo sotto il tribunale in tanti, per sostenere la
sfida di essere più forti di ogni forma di repressione. Una giornata
che possa essere attraversata da tutte le lotte e da tutti i compagni
migranti e non che fianco a fianco lottano ogni giorno in questo paese.

Come ogni battaglia nei corridoi dell’università, fuori dai Cie,
dentro le carceri, nei boschi della Val di Susa, nei quartieri popolari
di Milano non c’è mai resa, si combatte metro per metro, fino
all’ultimo respiro.

_Invitiamo tutti a parlarne, a fare girare questo testo, a portare
solidarietà in qualsiasi modo quel giorno e nei giorni prima, o venendo
a Milano o nei propri territori. Questo può essere l’inizio per
rompere finalmente il ricatto. Il 14 gennaio non sarà un punto di
arrivo, ma la tappa di un percorso più ampio, perché la storia di
Marcelo è la storia di qualsiasi migrante che decide di mettersi in
gioco. Perché la possibilità di avere dei migranti al nostro fianco
nelle lotte dipende dal fatto che il nostro rapporto di forza non
permetta che ci sia più schiavitù perpetua nei nostri confronti. Che
lo stesso rapporto di forze che sa esserci nelle nostre lotte ci sia
anche quando cercano di attaccarci individualmente là dove siamo più
esposti. Così che mettersi in gioco possa essere sempre più qualcosa
di desiderabile e sempre meno qualcosa da temere._

#RompereIlRicatto

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